Luciano CAIMI, Modernismo e Blondel nelle riflessioni del giovane Stefanini, in Cultura, religione e editoria nell’Italia del primo Novecento (Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, XVI), La Scuola, Brescia 2009, pp. 261-280
1) Fra impegni di studio e militanza cattolica
Luigi Stefanini nacque a Treviso il 3 novembre 1891. Il 15 maggio di quell’anno Leone XIII aveva promulgato l’enciclica Rerum novarum, che -com’è noto- segnò in modo profondo pensiero e azione del movimento cattolico italiano. Studente presso il Ginnasio del Seminario vescovile, poi del Liceo classico cittadino “Antonio Canova”[1], nel 1907, aderì in parrocchia al Circolo giovanile “San Liberale”. Fu da subito attivo protagonista fra le file dell’associazione, distinguendosi per spirito di dedizione e vivacità intellettuale. Nel 1911, la sua nomina a Presidente della Federazione Giovanile Diocesana e il contemporaneo incarico di Segretario del Consiglio Regionale Veneto della Gioventù Cattolica attestavano la stima da lui goduta in ambito associativo e ai vertici della Chiesa locale[2].
A fine Ottocento, l’intransigente movimento cattolico di Treviso e provincia vantava numerose iniziative nei campi apostolico-formativo e socio-economico. Con il nuovo secolo il panorama interno si fece via via più mosso. In particolare, guadagnarono credito i fautori di una linea socialmente aperta, che ebbe fra gli interpreti di punta Giuseppe Corazzin, leader del sindacato agricolo[3]. Stefanini si mostrò in sintonia con loro, condividendone battaglie e impegni[4]. Interlocutore fondamentale del movimento cattolico trevigiano fu il vescovo Andrea Giacinto Longhin, cappuccino, alla guida della diocesi dal 1904 al 1936[5]. Nella sua prima lettera pastorale (26 luglio 1904), egli dichiarava di cogliere, soprattutto fra le file del clero, una pericolosa “brama di novità”. Il discorso s’inseriva in un quadro di valutazioni pessimistiche concernenti sia la “moderna società”, preda di “una turba di uomini materialisti, atei e qualche volta disonesti”, sia la “scienza moderna”, capace di “formare solo degli orgogliosi, amanti del dubbio e delle critiche acerbe, derisori delle più venerande tradizioni”[6]. Mons. Longhin se la prendeva pure con “certi moderni e sedicenti cattolici, che soffrono di mala voglia l’intervento del Clero e dei vescovi nell’indirizzo dell’azione sociale cristiana e vorrebbero per sé la più sconfinata libertà di pensieri, di parole e di azione”[7]. Dinanzi a simili pericoli invocava obbedienza ai legittimi pastori, non escludendo, a motivo della propria responsabilità ministeriale, l’uso della “verga della correzione e del castigo”[8]. In occasione della Visita ad limina dell’episcopato veneto (1906), il vescovo assicurava Pio X che nella Marca trevigiana il movimento organizzato dei fedeli “riuniva tutte le forze vive al fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà anticristiana e sosteneva con animo veramente cattolico i sacri diritti di Dio e della Chiesa”[9]. Fra le novità “pericolose” che tanto allarmavano Longhin vi erano quelle variamente riconducibili al fenomeno modernista[10]. In quest’ottica si comprendono le sue preoccupazioni rispetto a persone, che, sensibili alle idee dei novatori, avrebbero potuto creare insidie e turbamenti fra i cattolici trevigiani. Si trattava, precisamente, di Antonietta Giacomelli. Nata a Treviso il 15 agosto 1857 da nobile famiglia (la madre era nipote di Antonio Rosmini), dopo periodi trascorsi con i familiari tra Roma e Venezia, la battagliera signorina, propugnatrice di un profondo rinnovamento della cultura e della vita cristiane, dal maggio 1902 si era stabilita nella città di origine[11]. In quel contesto, nell’aprile 1906, organizzò alcuni incontri, invitando anche don Brizio Casciola, prete umbro vicino alle posizioni moderniste, molto attivo sui piani culturale e educativo[12]. Longhin stigmatizzò duramente l’iniziativa della Giacomelli. In una lettera a mons. Giovanni Bressan, segretario del Papa, scriveva: “Anche a Treviso in questi giorni si è tentato di spargere il seme del modernismo. È venuto qui certo don Brigio Cassiola [sic, per Brizio Casciola] alloggiato presso la Giacomelli, e tenne conferenze clandestine con socialisti e signorine più o meno isteriche. Ebbe il coraggio di venire insieme alla Giacomelli a farmi visita prima di partire, ma credo che si sia pentito giacché gli feci capire abbastanza chiaro che a Treviso non sarò mai disposto a permettere nessuna propaganda di idee nuove, anzi queste idee le combatterò sempre in virga ferrea”[13]. Come si vede, veniva qui confermata la linea della più ferma intransigenza. Dello stesso tenore furono i rapporti successivi con la Giacomelli, secondo quanto si evince da una lettera del vescovo (19 giugno 1907) a Pio X, nella quale riferiva di un incontro con la signorina relativo al suo volume Adveniat regnum tuum, preso di mira dalla censura ecclesiastica[14]. Va però detto che nel cattolicesimo trevigiano, a parte il caso della Giacomelli, gli indirizzi filo-modernisti ebbero scarso rilievo. Questo è da tenere presente, parlando di Luigi Stefanini. Dinamico e intraprendente, nella Gioventù Cattolica egli si segnalò anche per il particolare impulso alla formazione religioso-culturale dei soci. Ravvisava l’urgenza di procedere lungo questa linea, consapevole com’era di dovere favorire in ogni associato un’adeguata crescita spirituale e intellettuale, che lo rendesse capace, fra l’altro, di difendere le proprie convinzioni di fede negli abituali contesti di vita (lavoro e scuola soprattutto), sempre più insidiati da mentalità anticristiana. In tale ordine di convincimenti vanno comprese due particolari iniziative da lui promosse: le Gare di cultura religiosa fra i soci, presto imitate in altre diocesi fuori dal Veneto[15]; il periodico “La Giovane Marca” (1911), dal gennaio 1912 denominato “Il Foglio dei Giovani”[16]. La militanza associativa di Stefanini s’intrecciò, per un buon tratto di strada, con gli studi universitari. Concluso brillantemente il ciclo liceale, nel 1910 s’iscrisse al corso di Filosofia presso l’ateneo di Padova. A conferma del suo desiderio di perfezionare le proprie conoscenze sui problemi socio-culturali secondo i recenti insegnamenti magisteriali, va segnalata la partecipazione, per il biennio 1910-’11, ai corsi dell’Istituto Cattolico di Scienze Sociali di Bergamo, dove conseguì il relativo diploma[17]. Nel 1910 collaborò alla “Rivista d’Apologia Cristiana”, mensile edito a Treviso dal novembre 1908. Il periodico muoveva, dunque, i primi passi subito dopo l’enciclica anti-modernista di Pio X, Pascendi Dominici Gregis (8 settembre 1907). All’inizio vi scrissero ecclesiastici e laici locali, incominciando dai membri della Redazione[18], ma progressivamente collaborarono esponenti illustri del mondo cattolico, fra i quali p. Guido Mattiussi s.j., mons. Amato Masnovo, p. Agostino Gemelli, don Antonio Cojazzi, Maria Magnocavallo[19]. Nell’articolo programmatico, la Redazione dichiarava il proprio interesse circa il rinnovamento in corso delle metodologie di ricerca nelle scienze storiche, filologiche, psicologiche, naturali, pur prendendo le distanze dalle posizioni propriamente moderniste. Ai cattolici conservatori ad oltranza e “diffidenti di tutto quello che è nuovo” concedeva ben poco. L’idea centrale riposava sulla convinzione di poter essere, nel medesimo tempo e senza invalicabili conflitti, “credenti e studiosi”. Con l’aggiunta di una significativa postilla: “l’apologia vera, l’apologia efficace, non si fa con modi inurbani, con parole aspre e con forme villane”[20]. Nel 1910 Stefanini intervenne sul periodico con quattro contributi. I primi due erano in difesa della concezione cattolica della libertà umana[21]; il terzo s’inseriva nei dibattiti scolastici alla vigilia del processo di avocazione dell’istruzione elementare dai Comuni allo Stato (con diretto coinvolgimento dei Consigli Scolastici Provinciali)[22]; il quarto, dal titolo La purezza del cristiano, rivendicava al cattolicesimo il primato nel rinnovamento ideale del mondo e delle coscienze[23]. Un passo dell’ultimo contributo mi sembra particolarmente rivelatore dell’intransigenza culturale e del piglio battagliero del giovane. “Siamo scesi in campo -leggiamo-, spiegando la bandiera di Cristo e della sua Chiesa: in questa bandiera è espresso tutto un codice di vita religiosa e morale, come di vita sociale e politica. L’unica restaurazione della società deve risultare dall’applicazione integrale di questo codice, contro i vizi e gli errori dello spirito moderno”[24]. Registriamo argomentazioni e toni analoghi negli articoli di fondo de “Il Foglio dei Giovani”, non firmati, ma tutti attribuibili a Stefanini[25]. Particolarmente significativo era quello del gennaio 1914, intitolato La sincerità. Vi si coglieva l’eco dei contrasti sul piano socio-sindacale con l’ala conservatrice, che annoverava mons. Luigi Mattarollo, Presidente della Direzione Diocesana del movimento cattolico[26]. Lo scritto invitava i credenti a rifuggire nei loro rapporti reciproci da finzioni e doppiezze, evitando altresì di scendere a patti con lo spirito mondano o di stabilire compromessi politico-economici con ambienti reazionari, trascurando il “programma grandioso” di Leone XIII[27]. Sennonché, l’articolo attirò diverse critiche a Stefanini, comprese quelle del vescovo[28]. D’altra parte, per un militante come lui, schierato con gli esponenti più aperti del cattolicesimo locale e non disposto ad accomodamenti, era inevitabile finire in rotta di collisione con moderati e benpensanti. Ormai in aperta rottura con Mattarollo, dall’estate 1914 i rapporti s’incrinarono anche con mons. Longhin. Nel mese di dicembre, Luigi rassegnò le dimissioni da Presidente dell’Unione Giovanile in seno alla Direzione Diocesana, adducendo motivazioni connesse agli impegni d’insegnamento, dei quali diremo[29]. Intanto dobbiamo soffermarci sulla sua esperienza universitaria. Fra Otto e Novecento, nell’ateneo di Padova si ebbe una contemporanea presenza dello spiritualismo cristiano per merito di Francesco Bonatelli, titolare di Filosofia teoretica dal 1867 al 1911, e del positivismo, grazie a Robertò Ardigò, docente di Storia della filosofia dal 1881 al 1909. A differenza del primo, il cui insegnamento non trovò diretto seguito, il secondo ebbe invece in Giovanni Marchesini il discepolo che ne raccolse l’eredità, benché il suo progressivo spostamento verso autonome prospettive di ricerca teoretica ed etico-pedagogica rivelasse crescente insoddisfazione per gli esiti del positivismo dogmatico del Maestro[30]. Vale la pena notare che nei confronti di Ardigò e del suo pensiero Stefanini mostrò radicale avversione. Era rivelatrice, in proposito, la risposta a una richiesta, rivoltagli da un collega universitario, nel gennaio 1913, di contribuire con un articolo a un “numero unico” che gli studenti stavano preparando per l’85° anniversario del professore positivista[31]. Il giovane trevigiano ringraziava dell’“invito deferente”, ma con franchezza così dichiarava al suo interlocutore: “non posso partecipare in alcun modo a questo vostro omaggio per un uomo che io non apprezzo né per convinzioni né per carattere”. La conclusione della lettera confermava l’intransigenza etico-culturale del nostro universitario, che in questo caso rischiava però di andare oltre il doveroso rispetto per l’avversario. “E se potrai, e vorrai, -scriveva- fallo sapere che gli studenti cattolici di lettere contrappongono, al vostro omaggio, il disprezzo o almeno la compassione per quest’uomo che ha tradito e bestemmiato la loro fede”[32]. Con Marchesini, Luigi Stefanini sostenne ben quattro esami; tuttavia, al momento opportuno, non si rivolse a lui per chiedere la tesi, probabilmente temendo di sentirsi proporre uno studio consono con i campi di approfondimento investigati dal professore. Si rivolse invece al nuovo titolare di Filosofia teoretica, Antonio Aliotta, dichiarandogli di essere interessato a una ricerca sui problemi dello spiritualismo contemporaneo. Fu così che Aliotta gli suggerì una tesi su L’Action di Maurice Blondel, testo pubblicato da Alcan nel 1893 e non ancora tradotto in italiano[33]. La versione nella nostra lingua, a cura di Ernesto Codignola, uscì nel 1921 presso Vallecchi di Firenze, all’insaputa del filosofo francese, la qual cosa provocò le sue vive rimostranze. Il pensiero blondeliano, al centro di dibattiti e polemiche in Francia fra Otto e Novecento, trovò udienza in Italia all’inizio del nuovo secolo presso intellettuali a vario titolo coinvolti nella vicenda modernista. Dal Fogazzaro, dal Semeria, dal Buonaiuti, per citarne solo alcuni, venne un sostanziale apprezzamento verso L’Action e le prospettive da essa dischiuse al rinnovamento dell’apologetica[34]. Né mancò l’attenzione, seppur critica, di uomini come Papini e Prezzolini, animatori delle cronache letterarie (e non solo) al principio del XX secolo. Lo stesso Gentile, avverso al modernismo, fu però colpito dalla ricerca blondeliana, tanto da scrivere: “Il cattolico che vuol rimanere tale trasformando il cattolicesimo, per rimetterlo al passo dello spirito moderno, rappresenta uno sforzo, che è un vero grande esperimento storico. Ma perché l’esperimento sia significativo, occorre una volontà irremovibile di restare dentro il cattolicesimo, pur con tutto il progresso dello spirito. Il modernista che oggi c’interessa è Maurizio Blondel”[35]. Non è facile rendersi conto dell’effettivo grado di conoscenza, da parte di Stefanini, del dibattito in corso intorno a L’Action, essendo la sua dissertazione fornita di scarso apparato critico-bibliografico. Tuttavia, egli sembrava bene informato almeno sulle ricorrenti obiezioni di pragmatismo, immanentismo, naturalismo mosse al pensatore francese in ambito cattolico. A suo dire, esse restavano distanti dal vero problema della filosofia dell’azione, di natura soprattutto epistemologico-metodologica. Blondel -scriveva Stefanini- sacrificava da un lato “il metodo alla dottrina”, dall’altro “la dottrina al metodo”[36]. Secondo il laureando, infatti, la filosofia blondeliana rischiava di contraddire l’assunto da cui muoveva, ossia il primato dell’“agire” nei confronti del “pensare”, perché, essendo una teoria dell’azione, riabilitava inevitabilmente il pensiero riflesso sull’esperienza interiore degli atti volontari; inoltre, essa non riusciva a evitare completamente il rischio di esiti empiristici, poiché, per sottrarsi all’intellettualismo, finiva con il porre il legame fra l’azione e il pensiero come se questo fosse epifenomeno di quella, con il pericolo quindi di una sottostima della razionalità, gravida di negative ripercussioni sia sul piano gnoseologico sia nei rapporti fra ragione e fede[37]. Critico circa il “metodo dell’immanenza” di Blondel, Stefanini si mostrava però in sintonia con lui su due punti importanti: la necessità di un confronto senza pregiudizi del pensiero cattolico con quello moderno; l’esigenza, in tale prospettiva, di una filosofia capace di recuperare, diversamente da certe impostazioni “intellettualistiche”, come avveniva in qualche interprete della stessa tradizione neoscolastica, l’intera ricchezza spirituale del soggetto. L’apprezzamento per l’esemplarità cristiana di Blondel si accompagnava al riconoscimento del “valore pedagogico” del suo sistema, al quale il nostro studente attribuiva il merito di avere tracciato nuove vie per l’apologetica moderna. In questo senso, giungeva a definire L’Action “un’opera essenzialmente educativa”. Spiegava così la sua interpretazione: “La coscienza contemporanea, ribelle alle verità religiose, è traviata in una concezione radicalmente opposta della natura e della vita. Come non si fa apprendere al fanciullo una lezione teoretica se non partendo dalle nozioni da lui stesso precedentemente acquisite e maturate, così è vana l’opera dell’apologetica tradizionale, la quale, esprimendo nella sua integrità il dottrinale cattolico, pretende di ottenere a questo l’assenso dei contemporanei”. Bisognava invece rendersi conto di dovere “predisporre la coscienza ad accogliere il verbo divino: e di soddisfare a tale necessità, di fornire questo avviamento, questa propedeutica alle verità religiose intende, appunto, la filosofia dell’azione”[38]. Discussa il 17 giugno 1914, la tesi, pur con i suoi limiti, primo fra tutti la tendenza a un certo schematismo interpretativo, ebbe l’onore della pubblicazione l’anno successivo[39]. Essa dava la misura delle potenzialità speculative del giovane trevigiano, che anche nel confronto con un filosofo di grande levatura come Blondel non temeva di avventurarsi in impegnativi giudizi autonomi. Subito dopo la laurea, Stefanini intraprese le prime esperienze d’insegnante. Ma nel frattempo era scoppiata la guerra. Vi partecipò con spirito patriottico, distinguendosi onorevolmente sui campi di battaglia del Col di Lana e della Valsugana, fra l’inverno del 1915 e l’estate del 1916. Rimasto ferito, venne ricoverato e poi destinato ai servizi sedentari, dove svolse incarichi logistico-amministrativi sino alla fine del conflitto. Nel settembre 1919, dopo avere trascorso gli ultimi sette mesi presso il Comando Divisione Territoriale di Padova, si congedò dalla vita militare con i gradi di capitano[40]. Sia per soddisfare i propri interessi estetico-letterari sia, verosimilmente, per ampliare le possibilità scolastico-occupazionali, Stefanini pensò di conseguire anche la laurea in Lettere. Il periodo conclusivo sotto le armi gli consentì di preparare gli esami dei quali era in debito per il nuovo curricolo di studi e la dissertazione finale, che dedicò all’estetica di Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori dell’Arcadia. La discusse il 9 luglio 1919. Per un’eventuale pubblicazione, Stefanini pensò di presentare l’elaborato a padre Gemelli, direttore della “Rivista di Filosofia Neoscolastica”[41]. Ricevuta l’approvazione, il saggio uscì a puntate fra il 1920 e il ’21[42], anno, quest’ultimo, di apertura dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Va detto che l’ospitalità concessa alla dissertazione da parte di un periodico scientifico, destinato ad assumere un ruolo di spicco nel progetto culturale del nuovo ateneo, costituiva autorevole riconoscimento della bontà del lavoro e del talento del giovane studioso. Di ritorno alla vita borghese, Stefanini riprese l’attività fra le file della Gioventù Cattolica. Nel 1921 fu nominato Presidente del Consiglio Regionale Veneto ed entrò a far parte del Consiglio Superiore, l’organismo direttivo nazionale, rimanendovi sino al 1923. In quei due anni, d’intesa con i dirigenti associativi più aperti, fra i quali Cesare Ossicini e Renato Vuillermin, condusse una tenace opposizione alle tendenze filo-fasciste che incominciavano a prendere piede in alcuni consiglieri[43]. Dietro sollecitazione degli amici trevigiani, Stefanini si rese disponibile anche per responsabilità in campo amministrativo. Candidato nelle file del Partito Popolare Italiano alle elezioni del 1921 per i Consigli Comunale e Provinciale di Treviso, riuscì fra gli eletti. Rimase in carica sino al 1923, anche se, per gli impegni scolastici nel frattempo maturati, non gli fu possibile offrire il contributo desiderato[44]. Va da sé che dopo la “marcia su Roma” (28 ottobre 1922) e l’insediamento del governo Mussolini, la situazione nel Paese mutò profondamente. Incominciava una stagione d’inediti e gravi problemi. 2) Attività manualistica e corrispondenza blondeliana Con il 1924 Luigi Stefanini lasciava gli impegni diretti di militanza ecclesiale e civile, per dedicarsi all’insegnamento e allo studio, visti come scelte qualificanti nel quadro del proprio progetto di vita. Subito dopo il congedo militare, ottenne incarichi al Liceo “Canova” e all’Istituto Tecnico provinciale “J. Riccati” di Treviso. Di seguito, come vincitore (in più classi) dei concorsi a cattedra nazionali, insegnò Italiano nella Scuola tecnica “P. Caliari” di Verona per il biennio 1920-’22; nel 1922-’23 fu nominato straordinario di Filosofia al “Canova” e, contemporaneamente, supplente di Pedagogia e Morale nella Scuola normale “R. Ardigò” di Treviso. L’anno successivo venne destinato al Liceo classico di Taranto, ma resosi nel frattempo disponibile un posto presso lo scientifico “Belfiore” di Mantova, riuscì a ottenere lo spostamento nella sede virgiliana. Trasferito, nel 1924-’25 al Liceo classico “Tito Livio” di Padova, vi rimase sino al 1936[45]. Per Stefanini, l’avvio dell’insegnamento liceale coincise con la fase di attuazione della riforma Gentile, che soprattutto in alcuni settori (scuola elementare, materie filosofiche e pedagogiche) implicava anche un radicale rinnovamento dei testi per gli studenti. Egli colse l’opportunità presentatasi, decidendo di cimentarsi nella compilazione di manuali di filosofia e pedagogia per gli istituti superiori. Già nel 1923 aveva presentato a padre Gemelli una proposta in merito. Il rettore giudicò il progetto “assai buono”, ma dal momento che Vita e Pensiero, comparto editoriale dell’Università Cattolica, non si occupava di pubblicazioni scolastiche, invitava il giovane studioso a rivolgersi, a suo nome, al direttore della Società Editrice Internazionale di Torino, appartenente alla Congregazione Salesiana[46]. L’esito positivo dei contatti con la Casa torinese decretò l’avvio di una collaborazione che prevedeva innanzitutto la stesura di quattro manuali di filosofia e pedagogia per gli Istituti magistrali[47]. Nel 1924, dopo un intenso anno di lavoro, Stefanini diede alle stampe Il problema del bello e didattica dell’arte. Il volume, seguendo uno schema riproposto anche in seguito, si articolava in tre parti: la prima, d’impostazione teorica dell’argomento trattato; la seconda, di ricostruzione storico-filosofica, con annessa presentazione di un “classico” sul tema in oggetto; la terza, dedicata agli sviluppi pedagogico-didattici[48]. Nel 1925 uscì Il problema religioso e didattica della religione. Presentava un interessante paragrafo sul modernismo, indicandolo come “vasta corrente speculativa”, che “si alimenta” a “tutte le fonti del pensiero contemporaneo […] e si distribuisce in mille rivi diversi nei campi dell’arte della sociologia della critica dell’educazione della filosofia”[49]. Stefanini accoglieva il proposito di fondo dei modernisti: “avvicinare alle esigenze spirituali dei contemporanei i dati della religione cristiano-cattolica, rendendo accettabili alla nuova mentalità dottrine che sembrano superate dall’odierno indirizzo speculativo”[50]. Vi era, dunque, un preliminare problema di metodologia filosofica e apologetica, che il nostro autore mostrava di condividere. Occorre non più “partire -scriveva- […] dalla enunciazione delle verità dogmatiche, dall’affermazione del trascendente, dall’applicazione rigorosa del procedimento logico, ma adottare gli stessi procedimenti critici e dialettici dei tempi nostri, dimostrandone la validità di fronte alle esigenze del pensiero ortodosso. Si giungerà così alla soluzione del secolare conflitto tra scienza e fede e ad un rinsanguamento della vita religiosa nel cattolicismo”[51]. In poche parole, era il “metodo dell’immanenza” la via da seguire, che Stefanini ravvisava in Loisy, Le Roy, Laberthonnière. Sennonché, alla prova dei fatti, i modernisti, “nello sforzo di armonizzare le esigenze del pensiero con quelle della fede, restano sospesi tra quello e questa, meritandosi gli anatemi della religione e della filosofia: eterodossi in religione e in filosofia. Il metodo dell’immanenza da essi impiegato non serve a costituire il sistema della trascendenza: bensì -concludeva senza possibilità di appello l’autore- il metodo vizia il sistema, il sistema rende il metodo sterile e inconcludente”[52]. A parte la mancanza di precisi riferimenti testuali a sostegno delle valutazioni critiche esposte e qualche semplificazione di troppo (per esempio, la secca inclusione di Laberthonnière fra i modernisti)[53], v’è comunque da rilevare l’apprezzamento stefaniniano delle istanze metodologiche dei novatori circa l’impostazione del rapporto con la cultura moderna; apprezzamento affiancato, per altro, da robusti dubbi sulla reale capacità di mantenere le annunciate promesse filosofiche e apologetiche. Differente era il discorso su Blondel. Sovente “incluso nella schiera dei modernisti”, la sua opera -osservava Stefanini- conserva, “Nel complesso”, “altezza speculativa” e “purezza dottrinale”. Il pensatore francese -proseguiva-, “Rivivendo in sé lo spirito delle dottrine moderne, ne utilizza gli elementi essenziali per dimostrare ch’esse sono insufficienti a risolvere il problema della vita: con moto dialettico rigoroso e stringente egli passa dal pessimismo al positivismo e via al soggettivismo, al formalismo del dovere, fino a dimostrare l’inevitabile appello del divino in cui trova compimento l’anelito della volontà profonda ”. Ora, “Quantunque possano dar adito ad erronea interpretazione qualche espressione imprecisa e qualche passaggio poco chiaro, pure nel suo complesso grandioso l’opera (L’azione) appare il tentativo più robusto, compiuto da un credente, di critica e superamento del pensiero contemporaneo”[54]. Va detto che questa linea interpretativa, con leggere modificazioni di accento, venne confermata negli altri manuali degli anni Venti. Momento significativo dell’itinerario culturale di Stefanini fu il conseguimento nel 1925 della Libera docenza in Pedagogia. Ottenuto questo bel risultato, si premurò subito di sondare il terreno per un’eventuale possibilità d’inserimento in Cattolica. Ma da Paolo Rotta, che vi insegnava Storia della filosofia ed era stato suo professore al “Canova”, nonché partecipe di comuni iniziative in diocesi, riceveva questa risposta: “Il nostro Rettore sarebbe contentissimo che tu venissi qui alla Cattolica ad esercitare la tua libera docenza […]; naturalmente non ti può affidare incarico alcuno perché, in proposito, non c’è disponibilità di posto”[55]. Ricordiamo, per inciso, che l’insegnamento di Pedagogia era ricoperto dall’ex gentiliano, ora neo-tomista, Mario Casotti[56]. Sfumata, dunque, la possibilità di trasferirsi a Milano, Stefanini trovò invece accoglienza, in qualità di libero docente, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo patavino, dove svolse compiti didattici sino al 1929[57]. Intanto l’attività manualistica con l’Editrice torinese proseguiva, come da contratto, a ritmo serrato. Nel 1926 diede alle stampe Il problema morale ed educazione morale[58]. A conferma del credito ormai goduto presso i Salesiani, quell’anno gli fu affidata la direzione della Collana “Letture di Pedagogia”, per studenti e insegnanti. Vi figurarono opere commentate di “classici” del Risorgimento (Cuoco, Capponi, Lambruschini, don Bosco). Nel 1927, Stefanini pubblicò nella Collana l’interessante volume dal titolo La pedagogia dell’idealismo giudicata da un cattolico[59]. Sempre nel ’27 fu la volta del manuale Il problema della conoscenza e l’educazione scientifica[60]. Nel paragrafo riservato al pensiero blondeliano, leggiamo: “Alcuni elementi del modernismo filosofico si trovano in Maurizio Blondel”. La sua “opera principale, L’azione, -continuava Stefanini- rappresenta un ardito tentativo di organizzare tutto il pensiero contemporaneo, dimostrandone, da una parte l’incapacità a risolvere il problema della vita, dall’altra l’inevitabile appello che scaturisce da tutti i sistemi ad una soluzione del problema stesso secondo i principii del Cattolicismo”[61]. In quest’ottica, il filosofo transalpino, “superato con moto dialettico vigoroso il pessimismo, il positivismo e via via il soggettivismo e il moralismo kantiano, porta l’uomo alle soglie del soprannaturale, dove trova riposo l’anelito incessante della vita e del pensiero”. “Solo il soprannaturale -proseguiva Stefanini, sintetizzando la proposta blondeliana- può colmare l’abisso tra la volontà volente e la volontà voluta, tra ciò che l’uomo vuole e ciò che egli è, tra le sue aspirazioni infinite e la sua miseria attuale”. In tal modo “s’innesta nella vita dell’uomo il soprannaturale, non nella forma vaga e indefinita di semplice credenza in un Essere supremo, ma con tutti i dogmi e gli atti cultuali e i sacramenti della Chiesa cattolica, che il Blondel cerca via via di giustificare da un punto di vista puramente razionale, come postulato della vita”[62]. Come si può vedere da queste prime esposizioni manualistiche, accanto all’apprezzamento per gli indiscutibili meriti speculativi e apologetici del pensatore di Aix-en-Provence, persistevano dubbi riguardanti la sua reale autonomia rispetto al modernismo filosofico. V’è da ricordare che il paragrafo su Blondel del manuale del 1927 fu pari pari riprodotto ne Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, uscito nel medesimo anno[63]. Come atto di omaggio, Stefanini pensò d’inviarne copia all’illustre professore, con la seguente dedica: “A Maurizio Blondel, uno scolaro d’oltralpe offre. Padova 6 giugno 1927”[64]. Nella lettera di risposta del 9 giugno, l’autore de L’Action ringraziava del gentile dono, ma si dichiarava dispiaciuto di dovere leggere ancora interpretazioni e giudizi manifestamente infondati. Intanto, l’accostamento di Laberthonnière a Loisy era “plus que contestable”. Per quanto, poi, lo riguardava personalmente, incominciava con l’annotare : “il m’est pénible d’être représenté comme hospitalisant dans ma pensée quelques uns des éléments du modernisme philosophique”; “si j’ai parlé des doctrines de l’immanence c’est pour les critiquer à fond et pour ramener ce mot au seul emploi légitime que lui reconnaît l’encyclique Pascendi”. “J’ai maintes fois protesté -proseguiva Blondel- contre l’idée qu’on m’attribuait à tort de faire du surnaturel une requête de notre action humaine ; et j’ai n’ai cessé de maintenir le caractère gratuit de la grâce et l’impossibilité où nous sommes de discerner sans la révélation l’existence et le contenu de l’ordre surnaturel où nous sommes réellement placés”. Il filosofo esprimeva il rammarico per trovarsi ancora incluso “parmi les quasi modernistes, parmi les kantiens, parmi les immanentistes, parmi les hétérodoxes”. Un erroneo giudizio del genere non gli avrebbe reso giustizia anche presso il pubblico giovanile, al quale il manuale era destinato. Del resto, autorevoli studiosi laici ed ecclesiastici avevano dissipato ogni dubbio sulla sua ortodossia. Lo stesso Pio X si era premurato di rassicurare in proposito l’arcivescovo d’Aix-en-Provence, dichiarando: “je suis sûr de l’orthodoxie de M. Blondel, et je vous charge de le lui dire”. Insomma, per il filosofo francese, alcune infondate valutazioni presenti nel testo omaggiatogli rischiavano di contribuire ad alimentare spiacevoli equivoci sul suo nome e sul suo pensiero[65]. Data la rilevanza obiettiva dello scritto ricevuto, Stefanini, seppure a distanza di tempo, credette opportuno pubblicarlo sul primo numero della nuova rivista “Convivium”, bimestrale di lettere, filosofia e storia, avviata nel 1929 dalla Società Editrice Internazionale[66]. Egli, a conferma del crescente apprezzamento goduto anche presso la Casa torinese, figurava come condirettore, insieme con i professori Carlo Calcaterra e don Paolo Ubaldi, dell’Università Cattolica[67]. Alla citata lettera di Blondel, Stefanini fece seguire un’ampia replica, in tre puntate, con l’intento di “chiarire”, “approfondire”, “giustificare” quanto, per forza di cose, sommariamente detto nel manuale. Orbene, con il primo intervento prendeva le mosse dalla tesi di laurea, riconoscendone intanto il limite fondamentale. Parlava, infatti, di un approccio troppo “frammentaristico” a L’Action, che finiva con il non cogliere adeguatamente il sistema blondeliano “nella sua unità e nella reciproca dipendenza delle sue parti”. Anche per questo la riflessione che si accingeva a sviluppare intendeva essere una sorta di “doverosa riparazione di un peccato di gioventù”[68]. Riguardo, poi, ai giudizi manualistici, gli si offriva qui l’occasione per corredarli con i necessari approfondimenti, non senza avere posto in risalto la “precauzione di evitare il falso metodo”, ossia un accostamento estrinseco al procedimento investigativo proprio dell’autore francese. Simile cautela -precisava Stefanini- “varrà a far cadere il novanta per cento delle critiche che continuano ad imperversare contro il nostro filosofo, la cui posizione apparirà, se non assolutamente inattaccabile dal punto di vista dell’ortodossia cattolica, per lo meno abbastanza solida e degna di considerazione”[69]. Ancora una volta, il discorso stefaniniano muoveva dall’apprezzamento per lo sforzo innovativo di Blondel, considerato soprattutto nei suoi riflessi apologetici. L’autore de L’Action aveva colto perfettamente l’inefficacia dell’apologetica classica “per l’educazione dell’uomo moderno al soprannaturale”[70]. Ne derivava la necessità di una rinnovata apologia, capace di confrontarsi con il pensiero contemporaneo non in modo estrinseco, ma assumendo dall’interno i problemi da esso posti alla coscienza religiosa, senza, beninteso, intaccare nulla della sostanza dottrinale del cattolicesimo. Pertanto: “L’aver impostato e affrontato coraggiosamente il problema della nuova didattica del soprannaturale -scriveva Stefanini- è per il Blondel titolo sufficiente a che i cattolici debbano guardare con deferenza e discutere con interesse il suo tentativo di ricostruzione”[71]. Qui si concludeva la prima parte della riflessione. Stefanini si premurò d’inviare all’illustre interlocutore il fascicolo di “Convivium” in cui essa era stata svolta. Blondel gli rispose il 22 aprile 1929. Nello scusarsi per la brevità dello scritto, causa la grave sofferenza agli occhi che lo tormentava, esprimeva intanto al giovane collega italiano sincero ringraziamento “de m’avoir consacré un article où avec un très louable sincérité vous élargissez votre jugement premier à mon égard, en faisant ressortir le sens véritable et le caractère légitime de mon effort apologétique. Un tel témoignage ne m’a pas été souvent prodigué par les critiques à qui j’avais demandé une rectification et approuve d’autant plus votre bienvieillante loyauté”. Proseguiva poi, osservando come da autorevoli studi recenti risultasse che “les thèses mêmes dont on m’avait fait grief étaient conformes à l’enseignement plus complétement connu de S. Thomas lui-même, dont certains textes avaient été négligés ou mutilés”[72]. Il 28 aprile Stefanini si premurò d’indirizzare a Blondel il seguente biglietto: “Sono riconoscentissimo al Maestro del suo gentile riscontro […]. Spero nei numeri successivi di non dire cosa che debba dispiacerLe, ma solo di giovare alla conoscenza del più geniale pensatore cattolico che abbia la consorella latina”. E aggiungeva: “Fin dai primi miei studi io mi incontrai con Lei e posso dire d’averla sempre avuta a maestro e guida”[73]. Il seguito della riflessione stefaniniana uscì sempre nel 1929 su “Convivium”. Nella seconda puntata l’autore veneto si prefiggeva di discutere la legittimità o meno del “nuovo metodo di avviamento al soprannaturale” proposto da Blondel, in continuità con il suo “compiuto sistema di filosofia”[74]. Diveniva allora necessario ricomporre “a gran tratti il quadro di una possibile interpretazione ortodossa”[75] del pensiero da lui elaborato. Stefanini invitava, tuttavia, a tenere presente un’avvertenza preliminare: “In questo romantico della filosofia c’è sempre qualcosa che si vede, qualcosa che s’intravvede e qualcosa che bisogna indovinare”[76]. L’ampia disamina permetteva al giovane critico di sottolineare, ancora una volta, i titoli di merito della ricerca di Blondel, efficacemente protesa verso la costituzione di un “metodo” filosofico nel segno della “totalità”, capace cioè di accogliere e investigare “tutte le attestazioni della coscienza, tutti i dati dei sensi”, così da “soddisfare ogni istanza della ragione e della volontà”[77], stabilendo un’equazione non solo fra verità e pensiero, ma fra verità e vita. Entro questo procedimento euristico ecco allora dischiudersi la dialettica fra aspirazione infinita dell’uomo e finitezza, premessa di una necessitante apertura alla trascendenza. Ma come, continuava Stefanini, “il semplice teista potrà divenire cristiano? In qual modo ad una certezza potrà esser aggiunta una fede?”[78]. L’itinerario ricostruttivo recuperava a questo punto le linee di svolgimento della nuova apologetica dell’autore francese, mostrandone il merito principale: il superamento di ogni “estrinsecismo”, con l’intento di tratteggiare la difesa della fede cattolica, muovendo dall’interno delle provocazioni teoretiche e storico-culturali del pensiero moderno. Giunto al termine della sua esposizione, Stefanini si lasciava però cogliere dal seguente interrogativo: “Ma questo quadro coincide esattamente con l’originale?”[79], cioè con l’“autentica” posizione di Blondel? La risposta era affidata alla terza parte della discussione. Uno dei punti cruciali dell’analisi verteva sulla concezione blondeliana di pensiero, azione e vita, con i reciproci rapporti e rinvii. “La filosofia di M. Blondel -si domandava Stefanini- è espressione del pragmatismo cristiano o del pragmatismo moderno? A volta a volta dell’uno e dell’altro: per meglio dire, è un compromesso trai due”, asseriva[80]. Le perplessità non si arrestavano qui. “Il metodo dell’immanenza, adottato dal Blondel -si domandava ancora-, è valido a costituire una filosofia della trascendenza?”[81]. Anche in questo caso la risposta risultava perlomeno dubitativa. Diversamente da quanto annotato da vari critici, la metodologia blondeliana -osservava Stefanini- è riuscita, “anziché a rendere immanente il trascendente, a separare quello da questo in modo tale da renderli incomunicanti. Dal punto di vista dell’ortodossia il Blondel pecca […] più per aver troppo allontanato Dio dall’uomo, che per averlo avvicinato all’uomo e averlo reso immanente in lui”[82]. Non erano -come si vede- rilievi di poco conto. Si aggiunga che la conclusione dell’analisi, lungi dall’attutire la critica, sembrava ulteriormente aggravarla. L’“equivoco” della filosofia blondeliana sta “nel confondere la vita soprannaturale con l’affermazione del trascendente e nel ritenere la seconda, come la prima, impossibile alla sola natura”[83]. Insomma, possiamo ben dire che il “metodo dell’immanenza”, nonostante gli interessanti propositi e l’innovativa apertura in chiave apologetica, continuava ad apparire al Nostro proclive a rischi di tipo pragmatistico, poco idoneo per fondare una convincente metafisica, facile a ingenerare confusione tra trascendenza e realtà soprannaturale. Appena usciti i fascicoli di “Convivium”, con la seconda e la terza parte del saggio critico, Stefanini si premurò d’inviarli a Blondel. Questi gli rispondeva con lettera del 10 febbraio 1930 nella quale, ancora una volta, respingeva risolutamente i principali addebiti mossigli: “les ambiguités ou les illusions que vous m’attribuez ne peuvent m’être reprochées que par une méconnaissance d’une partie de mes écrits, de toutes mes intentions et de mes conclusions le plus formelles”. Rifiutava, poi, la definizione del suo sistema come “filosofia dell’azione” (simile “étiquette” -scriveva- “me répugne”) proprio per i rischi d’interpretazioni pragmatistiche cui poteva dare adito. Ma l’accusa contestata con maggiore forza era il preteso “phénoménisme qui restreint la portée de mes affirmations sur le transcendant que je confondrais avec le surnaturel”. “Vous m’incriminez ainsi d’une sorte de fidéisme -protestava Blondel-, comme si pour exalter la solution surnaturelle, j’étais assez aveugle pour déprécier ou infirmer tout à fait le témoignage de la raison et les préambules indispensables de la foi. Nul grief ne m’est plus sensible et ne me paraît plus immérité. Dès l’origine -assicurava-, j’ai orienté mon effort philosophique et je dirai même ma vocation personnelle et mon genre de vie vers une revéndication des droits de la raison, de la portée de l’intelligence, de la certitude ontologique, et cela dans tous les domaines, ‘vers un réalisme intégral’”[84]. Il 12 febbraio, a due giorni quindi dalla lettera appena citata, Blondel inviava un altro biglietto a Stefanini, pregandolo di pubblicare le precedenti “explications” su uno dei prossimi numeri di “Convivium”. Dopo avergli preannunciato che il libro in preparazione (La Pensée) avrebbe ampiamente risposto a tutte le critiche rivolte a L’Action, gli prometteva l’invio di una copia del suo Itinéraire philosophique, da cui avrebbe potuto meglio comprendere il percorso di ricerca intellettuale compiuto[85]. Ma il legittimo desiderio del filosofo francese di vedere pubblicata la sua lettera del 10 febbraio sulla rivista torinese, per i motivi che ci apprestiamo a illustrare, non ebbe soddisfazione. Sino dai primi numeri di “Convivium” Stefanini si era cimentato in un’impegnativa riflessione, con la quale intendeva fissare gli esiti teoretici sin lì conseguiti. Li sintetizzava nella formula “Idealismo cristiano”. In un momento di forte tensione fra pensatori cattolici (soprattutto neo-scolastici) e idealisti, culminato nello scontro fra Gemelli e Gentile al Congresso romano (1929) della Società Filosofica Italiana[86], la sintesi suggerita sembrava fatta apposta per agitare ulteriormente le acque. Nell’attualismo Stefanini ravvisava una “risonanza dell’antichissima dottrina del Cristianesimo”[87], anche se alcuni elementi essenziali di essa (si pensi al principio di creazione divina) venivano unilateralmente svolti in una prospettiva monistica e immanentistica. Da qui l’esigenza di una reivindicatio dei motivi cristiani assunti dal neoidealismo gentiliano, con la consapevolezza di dovere procedere “attraverso” questa filosofia, ma per “andare oltre”[88]. Il cattolico Stefanini non intendeva certo arruolarsi nella schiera dei discepoli di Gentile, tuttavia avvertiva il “fascino” del suo pensiero, mostrandosi convinto che con esso bisognasse fare i conti seriamente. La prima parte d’Idealismo cristiano, uscita sul secondo fascicolo di “Convivium” del 1929, era sempre all’insegna di una “rivendicazione” di quelli che l’autore chiamava “canoni evangelici dell’idealismo”[89]. Ovviamente, ci si aspettava di leggerne il prosieguo sui numeri successivi del periodico. Ma non avvenne così. Sorprendentemente, lo sviluppo della riflessione trovò ospitalità, nel 1930, sul “Giornale Critico della Filosofia Italiana” di Gentile. Come mai? È presto detto. La proposta di Stefanini, per quanto considerata con un certo interesse, oltre che da Gentile, da Ernesto Buonaiuti e Armando Carlini, era stata subito presa di mira da diversi studiosi cattolici, i quali, scettici circa la possibilità di qualche conciliazione fra il sostantivo “idealismo” e l’aggettivo “cristiano”, vi intravedevano piuttosto il rischio di un cedimento alla filosofia dell’atto[90]. Si tenga inoltre presente che l’analisi stefaniniana del pensiero di Blondel su “Convivium” non era passata inosservata agli occhi vigili dei controllori dell’ortodossia. Giudicata, infatti, reticente sui rischi di modernismo insiti nell’autore francese, subì l’intervento della censura ecclesiastica. Orbene, tutto questo aveva finito con l’accendere motivi di perplessità intorno alla complessiva riflessione di Stefanini; perplessità che ben presto ebbero conseguenze anche sulla sua posizione in seno alla rivista. Nonostante il sostegno dei colleghi Calcaterra e Ubaldi, alla fine del 1929, egli fu sollevato dalla condirezione di “Convivium”[91]. Gli subentrò Carlo Mazzantini, filosofo torinese di orientamento neo-scolastico[92]. In un amaro scritto del 20 febbraio 1930, Stefanini metteva al corrente Blondel delle ultime vicende personali, perché avrebbero potuto avere conseguenze dirette anche sulla nota richiesta di pubblicazione della sua lettera del precedente giorno 10. “Illustre Maestro, -esordiva- non vorrei procurarLe un dolore annunciandoLe che gli stessi articoli -i quali sembrarono a Lei severi e ingiusti- apparirono in Italia troppo accomodanti e indizio di un colpevole mio avvicinamento alla filosofia che Lei rappresenta; che perciò fui da prima sottoposto, per ordine delle Congregazioni romane, a severa censura (il III articolo uscì infatti in più parti mutilato dal revisore) e poi sospeso da condirettore di ‘Convivium’[93]. Ciò -proseguiva Stefanini- dipende dal fatto che in Italia -dove non è concessa quella necessaria ragionevole libertà che vige nel mondo cattolico di Francia- M. Blondel passa come il portavoce del modernismo filosofico e pecca chi, avvicinandosi a Lui, non è disposto a condannarlo a priori, ma ammette nella storia blondelliana, come io ho fatto, alcuni aspetti vitali e fecondi. Ora io credo che -continuava-, come le Congregazioni romane non tennero nel debito conto il terzo dei miei articoli, dove la critica ha compimento, così Lei, illustre Maestro, volle del terzo soltanto tener conto, e non attribuire alcun merito ai due primi in cui pur mi sforzavo di presentare la sua dottrina nel modo meno ripugnante alla mentalità dei cattolici italiani. Quelli che dall’una parte e dall’altra mi condannano, si rifiutano di essere totalitari, cioè di considerare i miei articoli nel loro insieme”. Lo scritto si concludeva così: “Inoltro subito la sua lettera al Direttore di ‘Convivium’ che mi ha sostituito. È anche mio il desiderio che sia pubblicata, perché serve a far conoscere quale e quanta sia la fede di un Autore che io amo e ammiro”[94]. A questo scritto Blondel rispondeva il 28 febbraio, muovendo da un’attestazione di vicinanza e rammarico per essere stato, seppure indirettamente, concausa dei problemi del collega italiano. “Je suis très affligé -scriveva- des difficultés dont j’ai été pour vous l’occasion ou même la cause bien involontarie: je compatis très sincèrement à l’épreuve que vous a attirée votre sincérité de critique consciencieux et je demande à Dieu de vous accorder les plus amples consolations de l’ordre invisibles et même pour l’avenir de votre influence et de votre carrière philosophique et universitaire. Je suis très affligé aussi de l’état d’esprit que vous me faites discrètement connaître, mais qui me semble toutefois moins répandue que vous ne le dites dans le monde ecclésiastique en Italie”. Blondel proseguiva, portando a sostegno della sua posizione ortodossa dichiarazioni di autorevoli studiosi ed esponenti della gerarchia ecclesiastica: “En France, à parte quelques esprits butés, il n’y a pour ainsi dire plus un seul catholique, compétent dans les mathières que j’ai abordées, qui ne proteste avec indignation contre le grief de modernisme appliqué à mon oeuvre”. Tutto ciò precisato, lo scrivente manifestava la speranza di potere finalmente vedere pubblicata su “Convivium” la lettera in questione: “ce n’est pas seulement un droit légal que j’invoque, c’est un devoir de justice dont j’attends l’accomplissement”[95]. Dal carteggio di Mazzantini con Stefanini si evince che i responsabili del periodico torinese, dopo avere a lungo tergiversato, vista la bufera scatenatasi, sull’opportunità o meno di pubblicare la lettera di Blondel, con relativa nota dell’ex condirettore, decisero finalmente di farla uscire sull’ultimo numero del 1931[96]. Ma, nel frattempo, il filosofo veneto, intuendo le difficoltà dell’operazione, si era attivato in altre direzioni. Pensò infatti di mettere a buon frutto i cordiali rapporti, avviati da anni, con il collega Enrico Castelli, che proprio nel ’31 aveva assunto la direzione della rivista “Archivio di Filosofia”, organo della Società Filosofica Italiana[97]. Va innanzitutto ricordato che la parte conclusiva d’Idealismo cristiano trovò ospitalità sul secondo fascicolo del 1931 di “Archivio”. Sempre nel ’31, raccolte quelle riflessioni in volumetto, Stefanini pensò di farne omaggio a Blondel. Il filosofo gli rispose il 24 settembre. Dopo i ringraziamenti per il gradito omaggio e la manifestazione della speranza di potere, vista permettendo, accostare direttamente il testo ricevuto, tornava sul punto che gli stava a cuore: “Quoîque je n’ai eu aucun écho de la lettre où j’essayai de vous montrer que je ne suis pas plus ‘transcendentiste’ qu’‘immanentiste’, j’espère que dans votre for intérieur vous m’aurez rendu justice et que vous n’aurez plus eu à souffrir d’aucune manière des articles publiés par vous dans le ‘Convivium’”. Con riferimento poi a un suo saggio in stampa sul problema della filosofia cattolica, precisava: “Je souhaiterai que s’il tombe sous vos yeux, après sa publication, il pût vous rassurer sur la portée réaliste que j’attribue à la raison humaine et sur la solidité de nos certitudes naturelles et philosophiques”[98]. A seguito dei cordiali rapporti intrattenuti con Castelli, la lettera blondeliana del 10 febbraio 1930, della quale abbiamo già preso visione, venne finalmente pubblicata sul quarto numero del 1931 dell’“Archivio di Filosofia”[99]. Nella nota di commento, Stefanini osservava subito che, riaprendo il discorso intorno al contributo di Blondel, era mosso dall’intento non già di “denunciare l’eretico ma di annunciare il cattolico”[100]. Quest’operazione, se poteva essere tardiva e superflua in Francia, dove un quarantennio di discussioni avevano consentito di chiarire numerosi malintesi sulla “filosofia dell’azione”, in Italia gli sembrava ancora necessaria, perché il giudizio corrente nei riguardi dell’autore francese non si scostava molto da quello espresso da Guido De Ruggiero nel 1912, che lo aveva definito “il padre spirituale del modernismo”[101]. Stefanini prendeva poi atto degli sviluppi e delle chiarificazioni intervenute nel corso della ricerca blondeliana circa i rapporti fra ragione e fede, ordine naturale e realtà soprannaturale. Restava però del parere che esse non si accordassero pacificamente con lo spirito e la lettera de L’Action del 1893. Tutto ciò premesso, riconosceva apertamente il grande servizio reso dal filosofo transalpino “alla causa della verità”, alla quale dedicò “le risorse di un ingegno meravigliosamente fervido e fecondo, e di una fede purissima”[102].*** Qui terminava il carteggio con Maurice Blondel. Aggiungo solo, avviandomi a concludere, che nei manuali per la Società Editrice Internazionale seguiti a quelli degli anni Venti le parti dedicate al modernismo e al pensatore francese ripresentavano, sostanzialmente, la linea interpretativo-valutativa di cui abbiamo presa visione[103]. Un punto però è fuori discussione: Stefanini non ebbe mai dubbi nell’attestare il debito di riconoscenza verso Blondel. Da lui, scrisse nel 1947, “derivai, se non proprio la mia vocazione filosofica, per lo meno le sollecitazioni più dirette al mio orientamento spirituale”. Pertanto, nei confronti del suo pensiero sentiva di potere esprimere “una sostanziale fedeltà” e “un attaccamento pressoché filiale”[104]. Nel commemorare la morte del Maestro, avvenuta il 5 giugno 1949, Stefanini, ormai affermato interprete della scuola personalistica di Padova[105], dichiarava con tono commosso che Maurice Blondel ha segnato “un capitolo essenziale della storia della filosofia contemporanea”. Quasi a volere, ancora una volta, riparare le frettolose interpretazioni giovanili, aggiungeva: “Come Socrate tra i sofisti fu scambiato per sofista, Blondel tra i modernisti è stato scambiato per modernista. Ma egli è passato oltre con una penetrazione vigile e amorosa della filosofia del suo tempo che mai si è adattata alla facile riduzione del senso della modernità nella ‘sclerosi’ immanentistica”[106]. Pertanto, concludeva incisivamente: “Si commemora Blondel, più che torcendo il collo all’indietro per seguire un’ombra che dilegua nella storia, guardando in avanti nella direzione che egli ha indicata”[107].
[1] Si veda il volume commemorativo, a cura di G. Cappello, M.S. Grandi, 1807-2007 Il Liceo classico Antonio Canova. Due secoli di storia di un’istituzione scolastica, GMV Libri, Villorba (Tv) 2008.
[2] Cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Quinto di Treviso (Tv) 2006, pp. 21-31. L’Archivio Stefanini (di seguito AS), attualmente in fase di sistemazione, è depositato presso la Fondazione “Luigi Stefanini” di Treviso (http://www.stefanini.org).
[3] Si consulti S. Tramontin, Giuseppe Corazzin e le lotte agrarie nel Trevigiano, in “Civitas”, 1976, 11-12, pp. 45-77.
[4] In “Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia”, cfr.: A. Sartoretto, Note per la storia del movimento sociale cattolico a Treviso dal 1904 al 1915, 1975, 1, pp. 141-156; D. Morato, Il movimento cattolico a Treviso dal 1911 al 1917 e l’organizzazione economico-sociale, 1978, 2, pp. 236-274.
[5] Si vedano: p. Fernando da Riese Pio X, Il vescovo di Pio X. Andrea Giacinto Longhin. Vescovo di Treviso, Curia Provinciale dei FF.MM. Cappuccini, Venezia-Mestre 1961; Id., Ardimento sociale del vescovo Andrea G. Longhin, Editrice Trevigiana, Treviso 1967; L. Urettini, Andrea Giacinto Longhin, CIERRE, Verona 2003; G. Pasquale (a cura di), Beato Andrea Giacinto Longhin: frate cappuccino e pastore nella Chiesa del suo tempo, San Liberale, Treviso 2006.
[6] A.G. Longhin, Lettere pastorali, panegirici e discorsi. Editi nella faustissima ricorrenza del XXV della consacrazione episcopale, S.A. Tip. Editrice Trevigiana, Treviso 1929, pp. 7, 20.
[7] Ivi, p. 16.
[8] Ivi, p. 11.
[9] Citazione in A. Sartoretto, Note per la storia del movimento sociale cattolico a Treviso dal 1904 al 1915, cit., p. 142.
[10] Riguardo a questo complesso movimento di riforma religiosa, oltre all’ormai classico P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, il Mulino, Bologna 1961, ci limitiamo a segnalare: M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1995; G. Forni Rosa, Il dibattito sul modernismo religioso, Laterza, Roma-Bari 2000.
[11] Sulla Giacomelli vi sono numerosi articoli, saggi, raccolte di corrispondenze, ma manca un organico studio. Qui rinviamo solo ala voce onomastica curata da C. Brezzi, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia1860-1980. II I protagonisti, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1982, pp. 233-240.
[12] Cfr.: L. Bedeschi, Lettere ai cardinali di don Brizio, Dehoniane, Bologna 1970; L. Tedeschi, Casciola, Brizio, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980. II I protagonisti, cit., pp. 95-97.
[13] Scritti del servo di Dio Andrea Giacinto Longhin cappuccino. Vol. I: Corrispondenza epistolare con il papa san Pio X e con il di lui segretario particolare mons. Giovanni Bressan, 2 febbraio 1904-17 agosto 1914, dattiloscritto. Postulazione della causa di Beatificazione, Padova-Treviso-Roma, pp. 51-52.
[14] La lettera, il cui originale si trova presso l’Archivio Segreto Vaticano (Segreteria Particolare di Pio X), è stata pubblicata in “Maestro & Padre”. Periodico degli “Amici del Beato A.G. Longhin”, 2007, 2, p. 6. Per gli interventi della censura ecclesiastica verso la signorina di Treviso, cfr. i capitoli “‘Mulieres in Ecclesia taceant’. Antonietta Giacomelli al tribunale dell’Indice” e “La messa all’Indice del manuale liturgico Adveniat regnum tuum di Antonietta Giacomelli. Il ‘voto’ del consultore Gioacchino Corrado”, nel vol. di I. Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo. Filosofia e cultura censoria nell’età di Pio X, CLEUP Editrice, Padova 2007, pp. 129-163, 253-274.
[15] Cfr. F. Bof, Luigi Stefanini e le gare di cultura religiosa durante l’episcopato di mons. Longhin (1914-1936), in L. Pesce, Sitientes venite ad aquas. Nel giubileo sacerdotale del Vescovo di Treviso mons. Antonio Mistrorigo, Tipografia Editrice Trevigiana, Treviso 1986, pp. 347-402.
[16] Si veda G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 31-45. Con il 1914 “Il Foglio dei Giovani” divenne il Bollettino del Consiglio Regionale Veneto della Gioventù Cattolica.
[17] Cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 26-27. Sull’istituzione bergamasca segnaliamo B. Malinverni, La Scuola Sociale Cattolica di Bergamo (1910-1932), Edizioni Cinque Lune, Roma 1960.
[18] Fra i redattori ricordiamo i monsignori F. Apollonio, M. Belli, F. Brunetti e i professori C. Capellotto, L. Olivi, I. Rosa.
[19] Per le persone indicate, cfr., a titolo esemplificativo: G. Vecchio, Mattiussi, Guido, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, cit., III/2 Le figure rappresentative, 1984, pp. 532-533; M. Neva, Amato Masnovo (1880-1955). Un percorso filosofico, Vita e Pensiero, Milano 2002; M. Bocci, Agostino Gemelli Rettore e francescano. Chiesa, regime e democrazia, Morcelliana, Brescia 2003; P. Braido, Rinnovata “presenza” di un educatore geniale: Don A. Cojazzi (1880-1953), in “Orientamenti Pedagogici”, 1965, 1, pp. 109-115; C. Ghizzoni, Cultura magistrale nella Lombardia del primo Novecento. Il contributo di Maria Magnocavallo (1869-1956), La Scuola, Brescia 2005.
[20] Cfr. La Redazione, Due parole di presentazione, in “Rivista d’Apologia Cristiana”, 1908, 1, pp. 3-10 (citazioni pp. 4, 10).
[21] In “Rivista d’Apologia Cristiana”, 1910, si vedano, a firma L. S.: Libertà d’indifferenza, 3, pp. 216-224; Contingenza fisica e metafisica nel problema della libertà, 5, pp. 430-438.
[22] Cfr. L. S., La scuola nella famiglia, nel comune, nello stato, ivi, 1910, 8-9, pp. 728-738. Su questa vicenda politico-legislativa, si vedano: S.Q. Angelini, La scuola tra Comune e Stato. Il passaggio storico della legge Daneo-Credaro, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1998; C. Betti, La prodiga mano dello Stato. Genesi e contenuto della legge Daneo-Credaro, Centro Editoriale Toscano, Firenze 1998.
[23] L. S., La purezza del cristiano (a proposito di un Congresso e di una Istituzione), ivi, 1910, 11, pp. 971-978.
[24] Ivi, p. 978.
[25] Nell’AS sono infatti conservate minute di quegli “editoriali”: cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 33.
[26] Quest’organismo, annunciato da mons. Longhin con lettera circolare al clero del 10 ottobre 1906, vide l’approvazione dello Statuto nel 1908: cfr. A. Sartoretto, Note per la storia del movimento sociale cattolico a Treviso dal 1904 al 1915, cit., pp. 142-144.
[27] Cfr. L. Stefanini, La sincerità, in “Il Foglio dei Giovani”, 1914, 1, p. 1.
[28] Si veda, in proposito, G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 51-54.
[29] Ivi, pp. 46-50.
[30] Cfr., di chi scrive, Educazione e persona in Luigi Stefanini, La Scuola, Brescia 1985, p. 18.
[31] La lettera di Beniamino Romagnoli a Luigi Stefanini, 9 gennaio 1913, in AS, si può vedere in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 56.
[32] Lettera di Luigi Stefanini a Beniamino Romagnoli, 11 gennaio 1913 (minuta), in AS (riportata nel vol. di G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 57). Il “numero unico” in questione fu pubblicato con il titolo Gli studenti di Padova a Roberto Ardigò. Omaggio 1928-1913, Arti Grafiche Prosperino, Padova 1913.
[33] Cfr. L. Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, cit., pp. 18-19.
[34] Si veda P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, cit., pp. 92-93, 174, 263-265.
[35] G. Gentile, Il modernismo e i rapporti fra religione e filosofia, Laterza, Bari 1909, p. 277.
[36] I riferimenti sono al testo a stampa della tesi: L. Stefanini, L’Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Società Editrice “Dante Alighieri”, Milano-Roma-Napoli 1915, pp. 135, 153.
[37] Ivi, pp. 135-184.
[38] Ivi, p. 186. Fra i primi a occuparsi della rilevanza pedagogico-religiosa dell’opera blondeliana fu Enrica Carpita, nel saggio Educazione e religione in Maurice Blondel, Vallecchi, Firenze 1920.
[39] Si veda, supra, nota 36.
[40] Cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 71-82.
[41] Sugli sviluppi iniziali del periodico, cfr. M. Mangiagalli, La “Rivista di Filosofia neo-scolastica”(1909-1959). Volume primo. Il movimento neoscolastico e la fondazione della Rivista, Vita e Pensiero, Milano 1991.
[42] Cfr. L. Stefanini, Arte e vita nel pensiero di G.V. Gravina, in “Rivista di Filosofia neo-scolastica”, 1920, 2, pp. 108-116; 3-4, pp. 233-244; 6, pp. 391-398; 1921, 6, pp. 295-306.
[43] Per l’impegno post-bellico nella Gioventù Cattolica, si veda L. Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, cit., pp. 30-35.
[44] Cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 85-106.
[45] Sul curriculum didattico del nostro autore, prima dell’inserimento universitario, si vedano: L. Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, cit., pp. 35-36; G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 114-120.
[46] Cfr. lettera di A. Gemelli a L. Stefanini, Milano, 8 novembre 1923, in AS (riprodotta in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 123).
[47] Si veda la lettera del Direttore generale della Società Editrice Internazionale a L. Stefanini, Torino, 28 gennaio 1924, in AS (ora in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 123).
[48] Cfr. L. Stefanini, Il problema del bello e didattica dell’arte. Con traduzione e commento del Libro X della “Repubblica” di Platone, Società Editrice Internazionale, Torino 1924.
[49] L. Stefanini, Il problema religioso e didattica della religione. Con l’“Eutifrone” di Platone tradotto e commentato, Società Editrice Internazionale, Torino 1925, p. 296.
[50] Ivi, pp. 296-297.
[51] Ivi, p. 297.
[52] Ivi, p. 299.
[53] Su questo pensatore, basti qui ricordare L. Pazzaglia, Educazione religiosa e libertà umana in Laberthonnière (1880-1903), il Mulino, Bologna 1973.
[54] L. Stefanini, Il problema religioso e didattica della religione, cit., p. 299.
[55] Lettera di P. Rotta a L. Stefanini, Milano, 18 novembre 1925, in AS (pubblicata in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 212-213).
[56] Per un primo profilo, cfr. la voce onomastica curata da F.V. Lombardi, in Enciclopedia Pedagogica (diretta da M. Laeng), La Scuola, Brescia 1989, vol. II, coll. 2326-2334.
[57] Incominciò con un corso “pareggiato” nell’anno accademico 1925-’26, per proseguire sino al 1929, con quelli denominati “liberi” o “complementari”. Stefanini ebbe poi l’incarico ufficiale di Pedagogia dal 1931 al ’35. Vincitore di concorso, nel 1936 ottenne la cattedra di Filosofia teoretica all’Università di Messina. L’anno seguente fu richiamato a Padova come titolare di Pedagogia. Nel 1940, passò su Storia della filosofia. Per diversi anni ricoprì anche l’insegnamento di Estetica.
[58] Cfr. L. Stefanini, Il problema morale ed educazione morale. Con Antologia commentata del Nuovo Testamento, Società Editrice Internazionale, Torino 1926.
[59] Si veda L. Stefanini, La pedagogia dell’idealismo giudicata da un cattolico, Società Editrice Internazionale, Torino 1927.
[60] Cfr. L. Stefanini, Il problema della conoscenza e l’educazione scientifica. Con il “Discorso del metodo” e il Libro I dei “Principii di filosofia” di R. Cartesio tradotti e commentati, ivi, 1927. Sui manuali sin lì pubblicati, si consulti la recensione di P. Rotta, in “Rivista di Filosofia neo-scolastica”, 1927, 1, pp. 88-90.
[61] L. Stefanini, Il problema della conoscenza e l’educazione scientifica, cit., p. 292.
[62] Ivi, p. 293.
[63] Cfr. L. Stefanini, Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti. Sommario storico della filosofia e i testi: Cartesio, “Il discorso del Metodo” e Parte I dei Princìpi di Filosofia; Gioberti, estratti dall’“Introduzione allo studio della Filosofia”, Società Editrice Internazionale, Torino 1927.
[64] La copia del volume è conservata nella biblioteca del filosofo francese, presso gli Archives M. Blondel di Louvain-la-Neuve: cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 153-154.
[65] La lettera di M. Blondel a L. Stefanini si può vedere in “Convivium”, 1929, 1, pp. 133-134.
[66] Il periodico è brevemente recensito da R. Bertacchini, Le riviste del Novecento. Introduzione e guida allo studio dei periodici italiani. Storia, ideologia e cultura, Le Monnier, Firenze, 1979, p. 165.
[67] Calcaterra ricopriva l’incarico di Lingua e letteratura italiana, mentre Ubaldi insegnava Letteratura cristiana antica.
[68] L. Stefanini, L’ortodossia di Maurizio Blondel (Con una lettera del Blondel), in “Convivium”, 1929, 1, p. 135.
[69] Ivi, l.c.
[70] Ivi, p. 138.
[71] Ivi, p. 140.
[72] Lettera di M. Blondel a L. Stefanini, Aix, 22 avril 1929, in AS. Questa lettera era la prima delle quattro indirizzate dal filosofo francese al collega italiano e rimaste inedite sino a qualche anno fa. G. Cappello l’ha pubblicata, insieme con le altre, di cui diremo, nella monografia, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 163 e nell’articolo Maurice Blondel e Luigi Stefanini: corrispondenza inedita intorno alla possibilità di una “filosofia cristiana”, in “Antonianum”, 2007, 3, pp. 449-477 (il documento in esame è alle pp. 473-474).
[73] Lettera di L. Stefanini a M. Blondel, Padova, 28 aprile 1929 (riprodotta in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 165).
[74] L. Stefanini, L’ortodossia di Maurizio Blondel (II), in “Convivium”, 1929, 2, p. 299.
[75] Ivi, p. 309.
[76] Ivi, p. 299.
[77] Ivi, p. 303.
[78] Ivi, p. 305.
[79] Ivi, p. 309.
[80] L. Stefanini, L’ortodossia di Maurizio Blondel (III), in “Convivium”, 1929, 5-6, p. 874.
[81] Ivi, p. 876.
[82] Ivi, p. 877.
[83] Ivi, l.c.
[84] Lettera di M. Blondel a L. Stefanini, Aix, 10 février 1930, in AS.
[85] Lettera di M. Blondel a L. Stefanini, Aix, 12 février 1930, in AS (pubblicata in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 165-166).
[86] Cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900/1943, Laterza, Bari 1966, vol. II, pp. 450-451.
[87] L. Stefanini, Reivindicatio, in “Convivium”, 1929, 1, p. 97.
[88] Ivi, pp. 95-98.
[89] Si veda L. Stefanini, Idealismo cristiano, in “Convivium”, 1929, 2, pp. 280-298.
[90] Cfr. L. Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, cit., pp. 70-72.
[91] Oltre alla responsabilità di “Convivium”, gli fu tolta anche quella della Collana “Letture di Pedagogia”. Per approfondire la vicenda qui sommariamente accennata, rinviamo a G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 193-228. Un importante contributo integrativo di tale ricostruzione, sulla scorta di fonti archivistiche vaticane, è offerto da S. Oppes, Luigi Stefanini e la censura del S. Offizio del 1929, in “Antonianum”, 2006, 4, pp. 615-632. Vi si aggiunga J.M. Prellezo, Luigi Stefanini (1891-1956). Approccio al “personalismo educativo”, in “Orientamenti Pedagogici”, 1991, 6, pp. 1320-1321.
[92] Su di lui, cfr. la voce onomastica curata da A. Del Noce, in Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, Enciclopedia Filosofica, Bompiani, Milano 2006, Volume Settimo, pp. 7167-7168.
[93] Il revisore in questione era il filosofo dell’Università Cattolica Amato Masnovo: cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 172, 202, 211-212.
[94] Lettera di L. Stefanini a M. Blondel, Padova, 20 febbraio 1930, riportata in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 171-172.
[95] Lettera di M. Blondel a L. Stefanini, Aix, 28 février 1930, in AS (ora in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 179-180).
[96] Cfr. G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., pp. 168-171.
[97] Sulla corrispondenza con il Castelli, cfr. ancora il vol. di G. Cappello, cit., pp. 141-143. Per un profilo del filosofo torinese e della sua rivista, rinviamo alle omonime voci curate da A. Del Noce, M.M. Olivetti e S. Bancalari, in Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, Enciclopedia Filosofica, cit., rispettivamente nei Volumi Secondo, pp. 1706-1707 e Primo, pp. 617-618.
[98] Lettera di M. Blondel a L. Stefanini, Magny la Ville, 24 septembre 1931, in AS (pubblicata anch’essa in G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, cit., p. 181).
[99] Cfr. In tema di ortodossia. Lettera polemica di M. Blondel al prof. L. Stefanini, in “Archivio di Filosofia”, 1931, 4, pp. 3-7.
[100] Ivi, p. 7.
[101] G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, Laterza, Bari 1912, p. 253.
[102] In tema di ortodossia. Lettera polemica di M. Blondel al prof. L. Stefanini, cit., p. 10 (cfr. anche pp. 7-9). Per completezza, ricordiamo che Blondel replicò alla nota stefaniniana con una lettera del 9 febbraio 1932, indirizzata a Enrico Castelli. Cfr. In tema di filosofia cattolica, in “Archivio di Filosofia”, 1932, 2, pp. 3-15.
[103] Mi limito a segnalare questi tre, sempre pubblicati dalla Società Editrice Internazionale, a conferma di una consolidata collaborazione editoriale: Sommario storico della filosofia, 1931, pp. 195-198; Il pensiero contemporaneo e la Dottrina del Fascismo (per la III Liceo), 1937, pp. 98-99, 100-102; Storia della filosofia e della pedagogia (per gli Istituti magistrali), 1945, pp. 458-459, 460-462.
[104] L. Stefanini, Il primo e l’ultimo Blondel, in AA.VV., Attualità filosofiche. Atti del III Convegno del Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Liviana Editrice, Padova 1948, p. 315.
[105] Cfr. L. Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, cit., pp. 158-283.
[106] L. Stefanini, Maurice Blondel, in “Humanitas”, 1949, 7, p. 683.
[107] Ivi, p. 684.
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