Edith Stein: un’anima per l’Europa (di Giuseppe Goisis)
La figura di Edith Stein (1891-1942) richiama tutto quanto ha patito l’umanità europea nel Novecento, ma evoca anche una studiosa piena di acume e profondità, una delle cinque figure mistiche più rappresentative dell’Ordine carmelitano, assieme a Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresina del Bambin Gesù ed Elisabetta della Trinità.
I tratti salienti del carattere di Edith: la grande onestà intellettuale, che la spingeva a soffrire per la verità, la capacità di studio e di analisi e un cuore forte e grande, come certe donne della Bibbia, in grado di animare, con il loro esempio, il popolo intero.
Passata da Breslavia, dov’era nata, a Gottinga, divenne assistente di Edmund Husserl, ma dire “assistente” non rende l’idea della complementarietà delle due figure: il maestro, Husserl, aveva bisogno dell’allieva, Stein: essa sola riusciva ad interpretare la sua scrittura, una specie di stenografia incomprensibile ai più, che Edith organizzava in curatissime dispense, a vantaggio di studenti e discepoli.
In breve, il metodo fenomenologico orientava ad aprire il polo soggettivo al polo oggettivo, insegnando a liberarsi, poco a poco, da sovrastrutture e pregiudizi, per accedere alla conoscenza immediata della verità. Nel primo periodo di collaborazione con Husserl, ma anche con Max Scheler, la Stein, interessata vitalmente alla psicologia, compose un’opera sull’empatia ancor oggi considerata un “classico” e ripetutamente citata per la sua pungente attualità nell’àmbito della discussione contemporanea.
Edith, in quegli anni, lavorò duramente e venne, progressivamente, staccandosi dalla famiglia, seguendo un itinerario sofferto e con aspetti drammatici. Allontanarsi dalla madre e dalla sorella la riempiva d’amarezza e, separandosi da loro, veniva a distanziarsi anche da quelle consuetudini e ritualità che punteggiavano l’esistenza degli Ebrei osservanti di allora, e anche di oggi.
“Inquieto è il mio cuore finché non riposa in Te”: questa frase di Aurelio Agostino illumina il cuore di Edith, caratterizzata da una sete insaziabile di Dio e protesa quindi ad una ricerca, assidua e tormentata, delle Sue tracce.
Come Stein racconta, in una notte d’invincibile inquietudine, raggiunse la biblioteca e si mise a leggere l’Autobiografia di Teresa d’Avila e fu afferrata dall’impressione che in quel testo e in quelle esperienze si trovassero le risposte che ardentemente cercava. Non si staccò da quel libro prima del mattino seguente.
Giustamente un suo interprete, Louis Bouyer, fa comprendere che questo episodio, simbolicamente, rappresenta una specie d’investitura, la comunicazione e la trasmissione di un’eredità di cui la stessa Stein, nelle sue ulteriori meditazioni, avverte di non essere che un anello, per quanto un anello significativo.
Si viene a creare così una situazione complessa: Edith Stein sempre più coinvolta nell’esperienza cristiana e sempre più attratta, nella riflessione, da Tommaso d’Aquino, mentre il suo maestro, Husserl, inclina verso la cosiddetta svolta idealistica, che lo conduce ad abbandonare quei capisaldi speculativi iniziali che avevano entusiasmato la Stein nei primi anni di collaborazione.
Nel frattempo, mentre si attenua a poco a poco l’influsso di Husserl, cresce su Edith quello di Max Scheler che, in quegli anni, si proclama cattolico; alla fine di tale cammino, Stein riceve il Battesimo e, più tardi, entra nell’Ordine del Carmelo, nutrendo la sua esperienza con la meditazione delle opere di Teresa d’Avila, ma aggiungendovi, in maniera sempre più sostanziosa, gli scritti spirituali di Giovanni della Croce.
Sulla ricerca, così tormentata ma anche così gioiosa, della filosofa incombono però le vicende sempre più tragiche che sconvolgono l’Europa, imponendosi via via il fenomeno terribile del Totalitarismo; Edith lotta disperatamente per ricordare ai contemporanei il valore fondamentale della responsabilità e il ruolo della donna nell’approfondire e trasmettere gli ideali più elevati; si conoscono altre conversioni, nello stesso periodo, al cristianesimo: lo stesso Husserl, Reinach, Picard, Landsberg e si avvicina ai Vangeli anche Bergson .
La Stein giunge a scrivere al papa Pio XI, nel 1933, una lettera nella quale illustra il rischio, per il popolo germanico e per l’Europa intera, costituito dall’ascesa del Nazionalsocialismo .
Intanto, nella scia di Stein, si moltiplicano in Europa i tentativi di decifrare l’esperienza mistica mediante l’uso della fenomenologia e fra questi tentativi brilla, con particolare rilievo, quello di Gerda Walther (1897-1977).
Edith è accolta fra le Carmelitane di clausura nel 1934, con il nome di Theresia Benedicta a Cruce. Il suo principale contributo alla comprensione dell’esperienza mistica è costituito da un libro, scritto attorno al 1941, il cui titolo è: Scientia Crucis (Creuzeswissenschaft).
L’adozione di un metodo fenomenologico rigoroso caratterizza questo importante lavoro, che inizia con la messa fuori gioco dei pregiudizi, in modo da poter indagare l’esperienza mistica in maniera “diversa”, secondando la fiducia di esser capaci di coglierne, in purezza, il significato, in altri termini di afferrarne l’essenza. Stein esamina ogni elemento del mondo interiore e della coscienza, con i suoi atti e le operazioni del soggetto, rintracciabili attraverso un atteggiamento di autoriflessione e quindi di evidenziazione dei significati .
Si è presi da commozione quando si pensa che Scientia Crucis è rimasto un libro incompiuto, chiuso da un frammento biografico su Giovanni della Croce, e ciò è avvenuto per l’intervento del Nazismo che, violando la regola dell’ospitalità offerta dai conventi, strappò Edith dalla sua quiete meditativa con la deportazione ad Auschwitz, dove la pensatrice e mistica venne uccisa, senza pietà.
Per chi volesse accostarsi a questa singolare e profonda figura, un’introduzione piuttosto lieve, ma dotata di una discreta informazione, è quella di Lella Costa: Ciò che possiamo fare. La libertà di Edith Stein e lo spirito dell’Europa (Solferino); per una prima ricezione nell’àmbito familiare, c’è poi un bel film: La settima stanza della regista Marta Mészáros, che racconta il cammino di Edith come quello, ad un tempo tragico e gioioso, di una spoliazione spirituale, fino alla visione conclusiva di Dio.
In definitiva, cosa ci può insegnare questa figura magnanima, cosa può suggerire alle nostre esistenze e a quelle delle nostre famiglie, così aperte, oggi, a tutti i venti della crisi, all’esperienza sconvolgente della propria fragilità?
Prima di tutto, mi sembra, che il Vangelo esiga radicalità, che vada vissuto fino in fondo, non addomesticato con mezzucci diplomatici, con i quali si tenta di aggiustarlo, rischiando tuttavia di perdere definitivamente la nostra vita (merita appena di essere sottolineato che la radicalità non coincide con le esasperazioni estremiste o con il fanatismo, nemico di ogni cultura del rispetto).
In secondo luogo, Stein ci ha lascato una ricca serie di libri (quasi tutti editi da Città Nuova) sui quali pensare: la riflessione filosofica ne costituisce la forma, ma dentro vi scorrono i grandi temi della Giustizia e della Carità, che possono trasformare la nostra riflessione in compiuta meditazione. Tutto ciò potrebbe aiutarci, se Dio vuole, a lasciare ogni ingrigita, burocratica amministrazione del cristianesimo nel quotidiano, per avviarci sui sentieri della mistica e della santità: c’è una sete nascosta nell’anima di ognuno di noi, anche se facciamo fatica a riconoscerla e a darle un nome: davvero non c’è che una sola tristezza al mondo, quella di non essere santi.
Una personalità così grande e così tragica si attaglia bene all’Europa di oggi, come ricordava spesso Giovanni Paolo II; da genocidi che non hanno alcun metro comparativo, da guerre di sterminio, nasce la ricerca profonda di un’Europa diversa: meno mercato e più rivoluzione degli spiriti e dei cuori, forse meno larga ma più coesa, più capace di convergenza e di corresponsabilità globale.
Stein significa “pietra”: Edith possa diventare, con la sua energia interiore, la pietra angolare di una nuova convivenza. Insegnaci, come Patrona d’Europa, il silenzio e l’ascolto entro il frastuono e lo strepito che ci avvolgono, ma insegnaci, soprattutto, a non tacere quando l’odio dilaga e l’amore del prossimo vien meno, un prossimo da amare, veramente, senza differenze ed eccezioni.
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