L’UNICITA’ DI FRANCESCO di Stefano Didonè

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Sulla figura di Papa Francesco desideriamo esprimere anzitutto la grande partecipazione a questo momento della Chiesa e dell’umanità intera. Un ringraziamento a Lui che ha rinnovato profondamente la Chiesa.

Pubblichiamo la riflessione di Stefano Didonè, Docente di Teologia Fondamentale all’Istituto Teologico del Triveneto, nonché membro del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Stefanini.

La morte di un pontefice è un evento singolare che mescola in modo intenso sentimenti umani alle inevitabili riflessioni sulla sua figura. Occorre tornare con la memoria al 2005, cioè alla morte di Giovanni Paolo II, per ricordare un evento analogo, dato che Benedetto XVI scelse un’altra strada per congedarsi da questo mondo, attraverso il gesto fortissimo delle dimissioni. Occorre partire dalle ragioni che portarono a quel gesto di rottura con la tradizione recente per considerare la parabola di papa Francesco. La situazione di stallo e di difficoltà in cui si trovava la Chiesa nella primavera del 2013 resero ancora più evidenti le prime mosse del nuovo Pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo”.
Certamente il primo papa gesuita della storia ha lasciato il segno in molti modi, inaugurando uno stile pastorale caratterizzato da segni forti: la scelta del nome, la scelta di abitare a Santa Marta e il primo viaggio apostolico a Lampedusa, solo per fare degli esempi. I tentativi di inquadrare la sua figura in una categoria (rivoluzionario, riformatore, anticonformista) o in una logica meramente strumentale (il populismo sudamericano in versione ecclesiale) appaiono in ogni caso inadeguate. Si potrebbe parlare di una sorta di unicità nel modo di interpretare l’eredità e la svolta del Concilio Vaticano II da parte del primo papa non europeo. Al momento ogni tentativo di tratteggiare un bilancio, per quanto critico, dell’eredità che papa Francesco consegna alla Chiesa e alla storia appare prematuro. Certamente la cifra dell’estroversione, della “Chiesa in uscita” ha segnato un cambio di passo negli equilibri interni ed esterni. Se l’immagine dell’ospedale da campo dà l’idea di un’emergenza, i dubia dei cardinali su un documento-simbolo del pontificato come Amoris laetita hanno dato prova evidente delle manifeste tensioni interne al Collegio cardinalizio e non solo. Il recente cammino sinodale ha ulteriormente rappresentato una sfida globale, unendo la pratica dell’ascolto alla custodia dell’unità del poliedro ecclesiale.
Un possibile filo rosso del pontificato di Francesco è stato certamente la difesa della centralità della persona, che emerge fin da subito nella denuncia della cultura dello scarto e nell’accoglienza verso tutti, in comunità con il motto episcopale (Miserando atque eligendo): “A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute” (Evangelii gaudium, 44). La misericordia è il centro del messaggio evangelico e il Giubileo della misericordia del 2015-2016 ha fortemente sottolineato questo messaggio. L’enciclica Laudato sì’ ha messo l’inalienabile dignità della persona al centro dell’ecologia integrale: “la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso!” (Laudato sì’, 65). Nei suoi scritti e nelle sue scelte, papa Francesco ha concretizzato l’intuizione di Emanuel Mounier: “la persona è un essere spirituale costituito come tale da un modo di esistere: l’impegno”. Per Francesco l’impegno si è concretizzato nella denuncia della Terza guerra mondiale combattuta a pezzi e quindi nei continui appelli per la pace e la fraternità, uniti all’attenzione a quell’epoca del cambiamento, caratterizzata in particolare dall’avvento dell’intelligenza artificiale. Il Messaggio per la LVII Giornata Mondiale della Pace del 2024, dal titolo Intelligenza artificiale e pace, univa questi impegni: “Il rispetto fondamentale per la dignità umana postula di rifiutare che l’unicità della persona venga identificata con un insieme di dati. Non si deve permettere agli algoritmi di determinare il modo in cui intendiamo i diritti umani, di mettere da parte i valori essenziali della compassione, della misericordia e del perdono o di eliminare la possibilità che un individuo cambi e si lasci alle spalle il passato”. L’unicità della persona, con il suo sentire, oltre che con la sua capacità razionale, è irriducibile al funzionamento delle macchine. In questo modo, per via pratico-politica, papa Francesco ha dato corpo a quella “ermeneutica evangelica” (Veritatis gaudium, 3) che esprime un’implicita possibile metafisica della persona: “l’individualità personale […] è il nucleo dal quale si dispiega quel processo di pensiero che è la razionalità […]. L’intelligibile ha la persona alla base e al vertice, nel soggetto e nell’oggetto” (L. Stefanini, Il problema della filosofia oggi, in Personalismo filosofico, p. 15). La dimensione razionale nella persona è inseparabile dalla dimensione relazionale, perché la ricerca della verità non può essere condotta in modo astratto, a prescindere dall’opzione per gli ultimi, cioè degli “scartati”. Questa opzione rappresenta quasi un metodo ed è forse l’eredità più preziosa del pontificato di Francesco per l’approfondimento della verità cristiana. Se in Giovanni Paolo II la difesa dell’umano si ispirava ad una filosofia della persona di taglio fenomenologico husserliano e scheleriano, per cui la razionalità si presenta come un aiuto necessario all’apertura intellettuale alla verità e in Benedetto si estendeva in modo contemplativo e bonaventuriano alla verità compiuta in Cristo, in Francesco il discorso su Dio diventa inclusivo dell’umanità in tutte le sue espressioni. Un allargamento non solo dei confini del Logos, secondo l’intuizione di Benedetto, ma anche del cuore pulsante della Chiesa che è il mistero del Dio di misericordia.

Stefano Didonè

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