Armando Rigobello Luigi Stefanini storico dell’estetica“Rivista di Estetica”, I (1956), n.2 pp. 123-146
1. I criteri generali. «La storia dell’estetica non può non essere storia della filosofia dal punto di vista della riflessione sulla bellezza e sull’arte». Cosi Luigi Stefanini affermava nell’introduzione ad una storia dell’estetica che non giunse a compimento. Ci rimangono le dispense dell’anno accademico 1947-48 che trattano del problema limitatamente all’età classica[1]. La motivazione dell’accennato confluire di storia dell’estetica e di storia della filosofia è dedotto dalla natura stessa dell’estetica, che è problema filosofico, e dall’imprescindibile interdipendenza dei vari problemi della filosofia. I quali, se nella loro formulazione sorgono in età diverse, nella loro intrinseca significanza sono solidamente impliciti già nel primo atto di pensiero riflesso. Per questo, ci avverte lo Stefanini, non si deve aspettare il configurarsi storico del problema estetico sull’ orizzonte della filosofia per iniziare da quella data l’esposizione delle dottrine estetiche. L’estetica nasce prima del nome che la definisce e la sua storia deve cominciare dal thaumazein, del quale stupore essa sola forse ha la capacità di darci una sufficiente spiegazione[2]. Lo storico dell’estetica si trova dinanzi a singolari possibilità per contribuire ad una storia della filosofia. Alcune posizioni metafisiche, ad esempio, non sono che la chiarificazione teoretica di un’iniziale intuizione estetica. Cosi l’irrazionalismo di Gorgia nei confronti dell’estetica del1′inganno. Gran parte inoltre delle grandi crisi che segnano una tappa decisiva nella storia del pensiero e quindi della civiltà, si colgono nella loro più intima natura se considerate nell’ambito della prospettiva estetica. [124] Umanesimo e Romanticismo costituiscono infatti vigorose reazioni a troppo fredde sistemazioni intellettualistiche. In varia maniera determinano un rifiorire di quei valori estetici che generalmente le lucide formule della ragione tendono ad escludere dall’orizzonte.Lo storico della filosofia deve contenere la propria tendenza di tutto cogliere nei consequenziali passaggi della dialettica ed imboccare invece e spesso quella via indiretta che è la via dell’estetica. Occorre indugiare in quelle battute d’arresto, in quei momenti di abbandono in cui l’uomo si confessa nell’intimità che le immagini della bellezza sanno concedergli. In quelle parentesi si scoprono molto spesso i motivi più profondi ed efficaci per interpretare un autore, un periodo od un processo di pensiero riflesso.Nell’indagine lungo questa via indiretta non si deve confondere l’estetica con l’arte. Il compito dello storico dell’arte inizia ove finisce quello dello storico dell’estetica. Il primo applica le conclusioni del secondo. Certamente il concetto di arte, che l’estetica definisce e che la critica d’arte prende come criterio valutativo, è il necessario presupposto ad una autentica storia dell’estetica, quanto ad una storia dell’arte. Un concetto, magari in via di chiarimento, ma con alcune note essenziali già ben precisate. A questo punto però lo Stefanini invita ad evitare la tentazione crociana di escludere da una valutazione tutto ciò che non è contemporaneo al proprio gusto ed al proprio concetto. Nella storia dell’estetica, dell’arte, della filosofia, come in qualsiasi opera di storia, si deve cogliere una intenzionalità del fatto o dell’opera o del pensiero passati verso la propria concezione personale, ma non una presenza allucinante di essa. Il concetto di arte che caratterizza la posizione dello Stefanini nella sua opera di teorico come di storico dell’estetica è noto e qui possiamo soltanto ricordarne il tratto essenziale. L’arte è parola assoluta, cioè costituisce quel momento in cui l’uomo riesce ad esprimere compiutamente se stesso, senza aspettarsi alcuna eccedenza oltre il proprio dirsi totale. Questo felice momento in cui il mistero personale sembra rivelarsi nel calore di un abbandono alla propria totale espressione, è soltanto un momento. Coglierlo in tutta la sua ricchezza è vivere l’autentica esperienza artistica, volere coglierlo coestensivo ad ogni momento della vita togliendone l’ansia ed il problema, equivale passare dall’arte all’estetismo. La decadenza dell’arte è in questa illegittima equazione estetistica di arte e vita. Si può facilmente notare come un simile concetto di arte sia fecon- [125] do criterio storiografico. La storia dell’estetica sarà la storia della presenza intenzionale e non allucinante di questa concezione dell’arte come parola assoluta.
2. Le linee fondamentali. L’immatura scomparsa del compianto Maestro ci ha privati di una completa opera storica di vasto respiro, però un occasionale volumetto ce ne ha lasciato l’abbozzo[3]. Riassumiamo brevemente le linee di quei cenni storici che sono posti come a premessa del breve saggio e che ci permettono di ricostruire un disegno che attendeva il suo compimento.La filosofia, come la cultura greca, nasce nella sfera del mito, cioè dell’immagine prestigiosa che sorregge la consistenza ontologica della realtà. Questo iniziale ed ingenuo estetismo pervade tutto il pensiero presocratico e trova la sua ratifica filosofica nella parola di Gorgia. Ma è proprio in questo suo culmine la crisi: la retorica suggestiva del sofista di Lentini è tutto l’essere, a patto che uno scetticismo radicale investa ogni cosa che non sia tocca dal felice inganno dell’immagine. La filosofia posteriore riprendendo un indirizzo schiettamente ontologico nel senso dell’intelligibilità respinge l’arte come suggestione sofistica, inganno bello e corruttore. L’arte si salva parzialmente soltanto nel limite in cui essa può inscriversi nell’ascesa all’intelligibile. Si tratta della convergenza platonica e neo-platonica di bellezza ed idea. Ciò che non trova conciliazione con l’intelligibile non è tanto il bello, inteso come armonia, perfezione, splendore, quanto piuttosto il concetto di attività artistica. L’intellettualismo impersonale dei Greci vede nella creatività personale la pretenziosa invasione della soggettività inintelligibile ed ingannevole. L’estetica greca è essenzialmente estetica della visione: la condanna platonica del decimo libro della Repubblica è dovuta al fatto che l’arte imitativa ci dà una visione sempre più imperfetta della bellezza ideale ed il riferimento aristotelico dell’arte alla categoria della possibilità ci dice, sia pur capovolgendo l’atteggiamento di biasimo, la stessa cosa e cioè che l’ideale estetico è nell’inintelligibilità. Se l’arte non può, come la filosofia, raggiungere il vero, deve però tendere alla «verosimiglianza». Lo [126] stesso entusiasmo erotico e la mania del poeta sono esperienze valide non tanto nella loro irrazionalità, dovuta alla limitatezza dell’uomo normale, quanto per la visione che esse concedono. Plotino non si allontana da questa dottrina se non in ciò che può aver ricevuto indirettamente dalla tradizione ebraica, e nulla di nuovo dicono l’arte edonistica degli epicurei e quella didascalica degli stoici. Il vertice più alto .dell’estetica classica resta il Convito, in cui il dinamismo creativo dell’artista compie il massimo sforzo per inscriversi nell’intellettualismo etico della visione. La civiltà greca fu pancalismo certamente, ma il problema che lascia irrisolto all’interno di tale pancalismo è quello dei rapporti tra il bello che si contempla ed il bello che scaturisce dall’opera e tra l’arte che purifica e quella che corrompe. La più notevole innovazione operata dallo Stefanini nel campo della storia dell’estetica riguarda il riconoscimento del contributo recato dalla patristica cristiana al costituirsi di ciò che vi è di essenziale nell’estetica moderna. Nelle dottrine dell’arte della patristica e del medio evo c’è ancora il peso cospicuo della tradizione classica ed anche in esse bellezza ed intelligenza sono fuse insieme. In ciò concordano Agostino e Tommaso. Quello che va messo in rilievo però è l’importanza implicita che la teologia cristiana ha nella sfera dell’estetica, a parte ciò che sull’arte possono dire le dottrine ricordate. Le nuove categorie che il travaglio dogmatico dei Concili offrono all’estetica moderna derivano dal nuovo modo di intendere Dio come, Spirito e Persona. Ne conseguono i concetti di generazione e creazione, di parola interiore e di parola esteriore. Dio è il grande artista che genera ed esprime, le stesse cose che noi vediamo belle non sono tali in se stesse, perché termini di una espressività divina. «Il Dio cristiano è il genio della nuova estetica[4] che è quanto dire che l’estetica moderna è un estetica dell’espressione, della creatività spirituale. Non è che la trascrizione in termini di dottrina dell’arte dei termini teologici dell’attività divina. Sant’Agostino stesso ebbe chiara consapevolezza di questa trasposizione della creatività dal piano teologico a quello dell’arte umana. In questa prospettiva l’immagine sensibile suscitata dalla creatività dell’artista non ha un suo valore se non nella sorgente spirituale da cui scaturisce. Per questo [127] l’iconoclastia non può trovare alcuna giustificazione nell’ambito di un’etica che tenga conto dell’estetica realmente cristiana. Il De Trinitate di S. Agostino (IX, 10; XV, 11) suggerisce allo Stefanini un’ulteriore specificazione all’interno della dottrina estetica dominata dalla teologia. L’arte esperita da un uomo immagine di Dio, infatti, è verbo dell’uomo, sua parola che non nasce dalla convenzione ma è intima espressione, comunicazione dell’anima con se stessa. Siamo di fronte al canone fondamentale della nuova linguistica. L’estetica umanistica e rinascimentale indica il lento maturarsi dell‘espressione all’interno della visione. Il ritorno ai testi platonici, specie al Convito, facilita questa maturazione a cui la stessa celebrazione della vitalità della parola sembra contribuire. Le sorti dell’estetica classica della visione, attraverso la riscoperta di Aristotele, quasi hanno il sopravvento sul processo citato e si dà luogo ad un rinnovato intellettualismo estetico. Si ripropongono cosi i concetti di verosimiglianza, di didascalia, di precettistica formale. L’incontro di questo indirizzo con il razionalismo cartesiano ci dà 1′Art poétique di Boileau. La componente estetica della soggettività e della sensibilità, introdotta dall’eros platonico, si infiltra tuttavia nelle stesse file degli aristotelici. Ingegno, gusto, fantasia cominciano cosi ad entrare nel vocabolario delle estetiche del ‘600-‘700. Tra quest’ultime un particolare significato assumono quelle ispirate dal Leibniz a cui si riconnette pure il Baumgarten: l’arte è perceptio, elemento aurorale della ragione. L’estetica nuova trova però la sua più ampia e radicale manifestazione nel Vico. Riallacciandosi a Platone ed a S. Agostino, il Vico intende la sapienza poetica come «fase mattinale» del riflettere con mente pura e la perceptio leibniziana diviene productio e fantasia. La conversione del vero nel fatto, espressa nella sensibile corpulenza del certo, completa la teoria vichiana della fantasia creativa. Ciò che invece nel Vico rimane impreciso e quindi passibile di sviluppi pericolosi è l’indistinzione tra la creatività fantastica della poesia e quella teoretico-conoscitiva. Se il Rinascimento italiano era stato il ritorno alle estetiche di Platone e di Aristotele, il Romanticismo tedesco segna un ritorno all’estetismo ingenuo e spontaneo della prima cultura ellenica. È lotta contro le regole formali del classicismo per un tipo di umanità ove dominino sovrane la bellezza e l’arte. Kant aveva indicato nel sentimento estetico il terreno ove si con-[128]cilia la sensibilità con l’intelletto. Il Romanticismo filosofico, ossia l’idealismo, sviluppò questa tesi indicando questo punto d’incontro nella mente umana resa assoluta realtà. In questo modo non più Dio è il genio dell’arte, ma l’uomo deificato. Su tale itinerario si sviluppa il pensiero di Schelling per cui soltanto all’arte spetta di cogliere l’assoluta unità del reale. La stessa libertà morale di Fichte si traduce nella magica ispirazione del Novalis ed infine Hegel, per quanto riconosca l’arte come un momento soltanto dello Spirito Assoluto, finisce per concepire tale Spirito come un genio romantico che acquista, attraverso la logica, una assoluta consapevolezza della propria forza divina. L’imprecisione vichiana tra arte e teoresi qui si precisa riducendo tutta la teoresi ad arte e l’autonomia dell’attività estetica diventa una egemonia. Si spiega cosi come questo sogno sovrumano di piegare tutta la realtà alla libertà dell’artista abbia dato luogo alla pazzia di un Hölderlin o di un Nietzsche e come sia breve il passaggio dall’ironia romantica all’angoscia esistenzialistica. Il puro estetismo, ci avverte Kierkegaard, porta alla disperazione. Accanto a queste estreme conseguenze del romanticismo tedesco stanno i suoi meriti: superamento dell’estetica della visione nella estetica espressiva del genio, unione di sensibile e soprasensibile, storicità al posto di naturalità, critica artistica come rivivimento delle condizioni spirituali dei vari popoli. Nell’estetica contemporanea lo Stefanini vede l’ultima conseguenza della spinta romantica, cioè la riduzione estetica della realtà e della vita ad arte. II panorama delle estetiche contemporanee si dispiega tra una metafisica dell’arte in cui l’arte è potenza assoluta, e una concezione dell’arte come attività fabulatrice ed allusiva che talvolta si concreta nell’allucinante fenomenologia. Tra questi due poli si pongono le tematiche dell’estetica contemporanea che potrebbero riassumer si in queste due posizioni: Gehaltsästhetik, estetica del was, a cui interessano le condizioni storiche e psicologiche dell’espressione artistica, e Gestaltsästhetik, estetica del wie, il cui interesse riguarda la figurazione sensibile, i valori tattili e visivi. La prima si rifà a Herbart, Zimmermann, De Sanctis, Hanslick, Fiedler, Semper, Wölffling ed al primo Berenson, la seconda può essere riconnessa al positivismo del Taine per poi proseguire in forma diversa nelle indagini sociologiche e biografiche degli epigoni dello storicismo diltheyano, oppure pervenire alla interpretazione psicoanalitica del fatto artistico. [129] L’estetica dell’idealismo italiano ha avuto il merito di arginare le unilateralità di entrambe queste radicali concezioni estetiche riprendendo ciò che di più vivo vi era nell’idealismo tedesco e svolgendo, attraverso il ripensamento di Vico, una coerente estetica della soggettività espressiva e creatrice. I limiti dell’estetica crociana si rivelano tuttavia nell’alternativa insolubile che la investe e che ha dato luogo alla sua prima e alla sua seconda edizione, cioè la formulazione antecedente e quella seguente la dottrina della circolarità. O accettare una divisione schematica e piuttosto rigida dei gradi dello spirito, o compromettere l’autonomia delle forme conoscitive che sembrano ridursi tutte sul piano della cosmicità artistica. Lo stesso storicismo crociano rivela l’insuperabile limite estetico di tutta la filosofia del Croce: la neutralità della storia giustificatrice non è che l’estensione dell’assoluta autonomia artistica a tutte le attività dello spirito unificate nella comune esteticità. Giovanni Gentile si è invece ben chiaramente proposto di distinguere la sintesi speculativa dal momento sentimentale dell’arte. In ultima analisi, però, anche al Gentile si può muovere l’accusa di estetismo totale poiché non si capisce che cosa sarebbe la pienezza dell’autocoscienza creativa teoretica senza il calore spirituale del sentimento. L’atto puro non può prescindere dal sentimento puro e quindi la riduzione di attualismo ad estetismo sembra inevitabile.Le linee di questa prospettiva storica sull’estetica sono state tracciate nel ’52, quando lo Stefanini aveva raggiunto la piena consapevolezza dei risultati della propria ricerca. Ci danno quindi un quadro significativo della sua concezione storica. Punto di arrivo e sintesi di risultati. Occorre ora ricostruire le tappe e seguire gli sviluppi attraverso i contributi cospicui e di alto valore scientifico della saggistica estetica che lo Stefanini ci ha lasciato su vari autori e periodi.
3. La saggistica maggiore. Non bisogna dimenticare che il clima culturale in cui si è formato il pensiero dello Stefanini e l’ambiente nel quale si sono maturate le sue prime posizioni estetiche appartengono al periodo del neo-idealismo. Questa scuola è legata alla storiografia filosofica italiana più per il contributo di saggistica che di storie complete della filosofia o di problemi filosofici. [130] Contrariamente alla tradizione tedesca, cosi ricca da Hegel in poi di vaste trattazioni che si estendono a tutta la storia del pensiero, Croce e Gentile ci hanno dato il tipico strumento culturale del saggio. Le vaste storie generali, sia di discepoli che di oppositori, sono posteriori. Anche per questo lo Stefanini non ci ha dato una storia generale dell’estetica se non nelle linee brevi del volumetto citato. La grande storia sarebbe forse maturata più tardi, ma la morte colse il Maestro mentre le pagine delle dispense accademiche del 1947-48 attendevano ancora un domani. Ci sono rimasti invece i saggi il cui succedersi segna l’interno sviluppo e la chiarificazione del pensiero. Nell’esporre questi contributi non seguiremo l’ordine dei loro argomenti, ma quello della loro stesura appunto per cogliere la progrediente maturazione delle conclusioni storiche e dei criteri storiografici dell’estetica stefaniniana, Dopo il primo studio sul Gravina[5] che costituì l’argomento della tesi di laurea, il grande decisivo incontro fu con Platone. A Platone lo Stefanini dedicò la maggiore fatica scientifica con i due monumentali volumi del 1932. Il precedente dell’opera, che è fondamentale nella immensa bibliografia platonica, è costituito da Il problema estetico in Platone[6]. In ciò lo Stefanini dimostra di applicare di già quel criterio storiografico a cui si è accennato sopra e per il quale la storia della filosofia deve saper indugiare lungo la via indiretta dell’estetica per scoprire la chiave di tanta parte delle posizioni più propriamente speculative. Il volume di cui ci occupiamo ci sta a dimostrare come la nota interpretazione data dallo Stefanini al platonismo: l’anima del platonismo è nella scepsi, si giustifichi nell’estetica di Platone intesa come divina inquietudine ai limiti del delirio. Non gioiosa pacificazione definitiva, ma tensione perenne dell’anima oltre i suoi consueti confini. Nell’Ippia Maggiore la problematica estetica di Platone ha la sua [131] impostazione radicale. Il dialogo si caratterizza nell’antinomia: che investe il rapporto di bellezza e di bontà piuttosto che nell’intento polemico contro il sofista che non sa dare definizioni. Da un lato la identificazione di vero e di bene esclude il piacere del bello anche nelle sue forme più pure, dall’altro il bello si presenta come l’aspetto soggettivo del bene, cioè il bene nel divenire dello spirito ed il bello viene inteso come processo generativo del bene. L’ulteriore svolgimento del pensiero platonico non supererà l’antinomia ma vivrà di essa pervenendo da un lato all’integralismo morale della Repubblica, ove si condannano i poeti, dall’altro alla esaltazione mistica della bellezza nell’entusiasmo erotico del Convito. Le dettagliate ed accurate analisi dello Stefanini si sviluppano nei due sensi indicati. Le pagine dedicate all’eros e all’arte come mania assurgono talvolta alla bellezza artistica di una vissuta partecipazione. La esaltante ascensione del Convito ed il delirio del Fedro si intrecciano con l’inconsapevole entusiasmo dell’Jone. Qui l’arte è colta al di là degli schemi dell’estetica classica, in uno sforzo singolare e potente di varcarne i confini esprimendo l’inquietudine della creazione spirituale entro l’orizzonte della stessa cultura greca. D’altro lato i canoni estetici classici vengono ripresentati nella condanna del X libro della Repubblica e riappaiono pure in quella parziale riabilitazione dell’arte come armonia a cui perviene la stanca ricerca delle Leggi. Sicché in Platone vi sono due estetiche: quella dell’intellettualismo classico, oggettivistica e visiva, e quella della creatività del soggetto tutto teso nell’esaltante esperienza di ciò che è oltre il limite dello stato normale del vivere. La prima estetica rientra nella parte caduca di Platone, si riferisce al Platone figlio ed interprete fedele della cultura del suo popolo; l’altra al Platone eterno, quel Platone che intenzionalmente è nostro contemporaneo. Le due estetiche non sono separate, e specialmente nell’elaborazione della seconda, cioè in quella che fa di Platone un moderno ante litteram, c’è tutto l’enorme peso della prima. Sicché la ricerca si presenta sempre come ricerca di una conciliazione in cui si ha fede, ma di cui non si scoprono i lucidi itinerari. La scepsi estetica è alla base della scepsi speculativa e quindi al centro del platonismo. Il problema dell’arte è come un punto d’incontro o meglio il crocicchio da cui si dipartono le molteplici vie dell’itinerario platonico. Il rapporto tra l’uno ed i molti, tra l’idea e l’esistenza, tra la perfezione morale ed il fascino del sensibile non sono [132] che l’esplicazione etico-metafisica di una drammatica esperienza dell’uomo Platone che, ellenicamente devoto allo splendore della bellezza, da un lato ne sente l’intima precarietà nella suggestione disordinata e nell’evasione estetistica, dall’altro ne coglie la possente idealità che trasfigura e fa attingere l’eterno. In questi termini lo Stefanini ci ha svelato il mistero di Platone e al contatto di Platone ha svelato sé a se stesso. L’intima radice estetica non estetistica del pensiero stefaniniano è di chiara derivazione platonica. L’arte è il momento in cui l’uomo si manifesta a se stesso con tutta l’infinitudine della propria natura. In quel momento tutti i suoi problemi giungono allo stato di fusione e si placano esprimendosi. Poi, come Jone dopo il canto, rimangono le dimensioni ordinarie del vivere e l’impegno inesauribile ad una ricostruzione dialettica di quell’unità artisticamente e quindi alogicamente esperimentata. In margine, ma non senza un suo significato, è da notare come la preminenza del carattere estetico della personalità di Platone secondo la interpretazione dello Stefanini si manifesti anche nel criterio adottato dallo Stefanini stesso per stabilire la cronologia dei dialoghi a seconda del prevalere o del recedere in essi della forma drammatica. La precisazione della fecondità creativa del Convito platonico nella parola come espressione assoluta è il frutto di un ulteriore approfondimento dello Stefanini a contatto con altre pagine della storia dell’estetica e della filosofia: la patristica, Gioberti, Gorgia e l’esistenzialismo, pagine a cui corrispondono cronologicamente gli studi successivi. Il maggiore contributo al chiarimento ulteriore della tematica estetica dello Stefanini provenne dalla elaborazione del concetto di imaginismo[7]. L’immagine è un atto, una parola della mente che non risolve ma significa il soggetto che vi si esprime come l’oggetto che vi viene alluso. Il senso del reale non si esaurisce nell’essere esso un dato presupposto, ma nel significato che l’interiorità riesce a conferirgli esprimendolo nella luminosità d’un’immagine. Ciò che dà valore all’universo è quel facitore di immagini che è il soggetto pensante: la persona. Ma tra le immagini ve n’è una in cui la persona si esprime totalmente e che si configura come parola che a null’altro allude che a se stessa: l’immagine dell’arte. La ma-[133]trice di quest’immagine in sede teologica: nel dogma del Verbo. Qui sta l’immenso contributo della patristica alla storia dell’estetica moderna. Questo contributo si coglie agevolmente nell’estetica giobertiana.L’incontro col Gioberti non fu occasionale. I temi platonici e neoplatonici trovano nel filosofo piemontese un’ardua sintesi con l’apporto patristico. D’altra parte in lui si compie il tentativo di far convergere la creatività dell’idealismo con la creatività del Cristianesimo. I grandi interessi teoretici e storiografici dello Stefanini trovano così nella personalità del Gioberti il loro centro focale ed una esemplarità suggestiva.Il volume sul Gioberti è del 1947[8], ma è il risultato di una lunga ed amorosa consuetudine con i testi che l’autore del Primato e del Rinnovamento. Alla dottrina della parola ed alla dottrina dell’arte sono dedicati gli ultimi capitoli che, appunto per essere gli ultimi, raccolgono i risultati dell’indagine precedente e sono volti a dimostrare come i temi speculativi del Gioberti confluiscano nella sua meditazione estetica ricevendone una sintesi efficace.La parola delle prime opere giobertiane è presentata come il segno “per cui il concetto ideale, osserva lo Stefanini, guizza dall’intuito e risplende distinto alla riflessione”[9]. La parola è l’idea che si fa discorso umano. Viene così a stabilirsi l’intima relazione tra pensiero e parola contro le tesi empiristiche sull’origine convenzionale del linguaggio. La dottrina giobertiana della parola risente però dell’ontologismo metafisico, sicché tutto il linguaggio è rivelazione divina anche nelle sue varietà e articolazioni. Mentre gli interpreti idealisti del Gioberti prendono lo spunto da ciò per ridurre la rivelazione a ragione, lo Stefanini pone in risalto invece la natura fideistica della dottrina giobertiana ravvisandone la derivazione dai tradizionalisti francesi. La efficace correzione di tale fideismo è stata data dal Gioberti stesso nella Filosofia della Rivelazione e nella Protologia. In queste opere la dottrina della parola acquista tutto il suo rilievo sul piano dell’estetica. L’interpretazione dello Stefanini giunge alle seguenti conclusioni: come, secondo la rivelazione soprannaturale cristiana, il Padre genera il Verbo, e, attraverso di Lui, ogni cosa fu creata, così nella rivelazione naturale dell’intuito il pensiero genera la parola e, attraverso la parola, ricrea ogni cosa significandola a se stesso. Mentre le interpretazioni idealistiche del Gioberti inducono a considerare la crea [134] zione metafisica assoluta del linguaggio e quindi del pensiero, occorre notare la diversità che il Gioberti pone fra la creatività assoluta ed effettiva della parola come arte e poesia in quanto è rivolta al soggetto e lo esprime compiutamente, ed il puro simbolismo che riveste la parola nella sua significazione del mondo extrasoggettivo. «Si potrebbe dire – conclude lo Stefanini – che l’arte è l’interruzione del processo linguistico al suo valore puramente espressivo, in quanto ciò che è vero nel suo momento estetico è falso nel suo momento logico-concettuale»[10]. È evidente come lo Stefanini abbia maturato su questi temi giobertiani la sua concezione estetica cosi che in lui il teorico dell’estetica ancora una volta non prescinde dallo storico. Si noti anche come dalla critica alla interpretazione idealistica del Gioberti lo Stefanini derivi la sua valutazione storica dell’idealismo come radicale estetismo: se interrompiamo il processo linguistico al suo valore puramente espressivo tutto rimane nella sfera dell’assoluta creatività dell’arte. È il motivo giobertiano della Protologia per cui «il pensiero moderno è un grande poema eterodosso»[11]. La dottrina della parola è il grande contributo della filosofia giobertiana all’estetica; lo Stefanini però prosegue anche nell’interpretare le dottrine del Gioberti che si configurano direttamente come dottrine sull’arte. Come in Platone cosi in Gioberti è bene distinguere un tributo pagato alle estetiche intellettualistiche ed un fervore di modernità precisantesi nella dottrina dell’arte come creazione. Gli influssi dell’intellettualismo estetico sul Gioberti provengono da vari fattori: il neoclassicismo dell’età appena trascorsa, il carattere moralistico del romanticismo italiano, lo stesso ontologismo del suo sistema in polemica con il soggettivismo inteso come psicologismo. Eppure proprio sul terreno ontologistico del trattato Del Bello lo Stefanini pone in rilievo i caratteri nuovi dell’estetica giobertiana. Con un processo che ricorda il Croce, Gioberti cerca di stabilire ciò che non è bellezza artistica: l’arte non è fatto utilitario o edonistico, non è un fatto puramente fisico, non è nemmeno un fatto morale: è fatto conoscitivo. E qui sembrano ritornare i motivi classici: l’arte è intelligibilità. Se Gioberti si fermasse qui non andrebbe più in là del Fedro platonico e dell’estetica di Plotino. Lo Stefanini proseguendo l’indagine sul [135] testo del Del Bello, indica invece nel Gioberti colui che intese il significato della moderna estetica in quanto per lui l’intellezione caratteristica dell’arte è qualcosa di più dell’intellezione della pura teoresi, vi aggiunge il palpito vivo dell’infinità del suo sentire e si presenta sempre nella concretezza dell’immagine e non nell’astrattezza del possibile. Né pura intelligenza, né mera sensazione costituiscono l’arte, ma sintesi feconda dei due termini per cui il sensibile si illumina dell’idea attraverso la potenza creatrice della fantasia. Nel calore della fantasia cadono le ipostasi delle facoltà e si costituisce un’universalità all’interno stesso dell’esperienza estetica personale; quell’universale poetico cosi caro alla dottrina estetica dello Stefanini. Il Gioberti non meno di Kant obbedisce nel Del Bello ad alcuni temi dell’intellettualismo estetico come, ad esempio, quello del bello naturale che egli però supera ben presto con la tesi della non esteriorità della bellezza: il bello è oggetto dell’intuito e non dell’esperienza, dinanzi al bello si gode per l’immagine che l’oggetto suscita in noi, non per l’oggetto in sé. Riprendendo poi le dottrine del Lessing sulla classificazione delle arti, il Gioberti afferma l’autonomia dell’arte per cui lo spazio, il tempo, la storia e la cronologia non s’impongono all’arte, ma debbono trovare un’unità interiore per divenire oggetto di poesia. Sicché l’arte non è riproduzione mimetica del reale, ma sua trasfigurazione, essa richiede un distacco dalla realtà perché possa operarsi la astrazione fantastica, essa appartiene al mondo dei possibili piuttosto che a quello della realtà empirica. La dottrina dell’infinitudine potenziale dello spirito umano porta il Gioberti a considerare l’arte come attività spirituale capace, proprio per l’accennato distacco, di infinire la realtà che sul piano empirico è bella e conclusa nella sua forma esteriore, Non manca nel testo giobertiano nemmeno una teoria del sublime secondo gli usi delle estetiche del tempo. Il sublime per il Gioberti è di natura dinamica e, contro quanto aveva detto Kant, si riconnette all’intuito piuttosto che alla ragione. Ne deriva la formula ideale estetica: «L’Ente per mezzo del sublime dinamico crea il Bello e per mezzo del matematico lo contiene»[12]. II Gioberti però molto acutamente respinge il sublime dal campo dell’estetica, in quanto l’immagine artistica deve avere la capacità di contenere tutte le premesse dell’atto da cui scaturisce, e quindi il sublime, che tale immagine intende [136] soverchiare, non può situarsi sul piano estetico. Di qui la contraddizione tra bello e sublime ed il carattere allusivo del sublime, cioè il suo essere simbolo di altro. Impoeticità quindi del simbolismo artistico, forma spuria di arte. L’immagine poetica invece non allude a nulla tranne che a sé. Non è difficile vedere qui un’altra anticipazione del concetto stefaniniano dell’arte come parola assoluta. Tra il ’47 ed il ’53 il pensiero storico-speculativo dello Stefanini riassume i risultati di tutto il suo itinerario definendosi come personalismo, Il che significa porre la persona umana. a fondamento di una singolare ricostruzione metafisica in cui l’interiorità si riscatta dal piano fenomenologico esistenziale senza per questo determinarsi all’interno di una trascendentalità di tipo neo-idealistìco, Il personalismo è già riscoperto in Gioberti; il lavoro ulteriore è costituito dalla completa formulazione della dottrina alla quale lo Stefanini chiede sempre di misurarsi con la storia. L’estetica come personalismo artistico ha avuto una parte notevolissima in questo fervore di pensiero e di ricerca. Dal punto di vista della sua storia ci interessano due lavori sopratutto, quello sull’esistenzialismo[13] e quello sulla filosofia presocratica[14]. Sembra quasi che lo Stefanini per il confronto dei propri risultati con la storia abbia scelto non senza ragione la prima e l’ultima parola della storia della filosofia. Due momenti particolarmente indicati per sorprendere il pensiero umano nella sua matrice estetica. Leggendo e confrontando i due saggi inoltre si comprende sempre meglio quale sia il criterio fondamentale della storiografia dello Ste- [137] fanini. Tale canone consiste nello stabilire il rapporto che un autore od una teoria hanno con l’estetismo, sia per quanto autori e teorie indicano esplicitamente nella loro riflessione sull’arte, sia per ciò che riguarda i mezzi artistici con cui il pensiero anche non estetico si esprime. Esistenzialisti e presocratici, pur cosi lontani nel tempo, offrono il modo di cogliere le varie prospettive in cui l’estetismo si configura. La cultura contemporanea appare allo Stefanini come notevolmente caratterizzata dal motivo estetistico del ripiegamento su se stessa. L’esasperata riflessione su di sé investe anche l’estetica: estetica sull’estetica, poeticità esistenziale della situazione poetica. Su questo piano di situazione esistenziale della poeticità si dipartono due vie: o in un attimo di esperienza estetica si coglie il tutto o gli attimi estetici si susseguono frammentari dandoci l’esperienza della frammentarietà dell’universo in cui siamo inseriti. Ne deriva l’estetismo del titano e l’estetismo della vittima, in queste varie prospettive sì dispiega l’estetica esistenzialistica. A dire il vero l’esistenzialismo dovrebbe essere di propria natura antiestetistico in quanto la consapevolezza della finitudine umana è la più logica smentita all’evasione celebrativa dell’estetismo; estetistico l’idealismo, antiestetistico l’esistenzialismo. Questa nota antiestetistica però, se viene quasi sempre mantenuta dall’esistenzialismo teistico, viene meno in quello ateo. La posizione di Kierkegaard è la riprova di questa ambivalenza dell’esistezialismo anche sul piano estetistico. L’esperienza estetica è per Kierkegaard quella del fluire degli attimi che vorrebbero essere infiniti ed invece svaniscono nell’effimero. Melanconia e disperazione sono gli esiti fatali dello stadio estetico. Estetismo ed immanentismo coincidono. L’esperienza religiosa succede invece all’esperienza estetica dopo averla sperimentata, la dialettica kierkegaardiana va infatti dall’estetica alla religione e l’arte è la strana maieutica del divino. L’estetismo radicale dell’esistenzialismo ateo si annuncia in Heidegger e Jaspers e si attua pienamente in Sartre. Heidegger dopo avere tolto, con la crudezza della sua analisi ontologico-esistenziale, ogni poeticità alla visione umana del mondo, improvvisamente con la conferenza romana del 1936 attribuisce alla poesia l’unica possibilità di comunicazione e di anelito verso il divino. L’estetismo di Heidegger è quello del titano, capovolgendo in questo modo la posizione di Kierkegaard. Estetismo ed esperienza religiosa qui si identificano e costituiscono la mèta a cui 1’uomo tende senza potervisi totalmente abbandonare, è attratto da Dio ma teme di bruciarsi in lui. Anche Jaspers ha un senso positivo, antikierkegaar- [138] diano dell’arte. La fantasia artistica giunge là dove il concetto non arriva e la metafisica stessa per attingere alla trascendenza deve divenire Kuntsphilosophie, fare appello cioè ai mezzi intuitivi con cui l’arte simboleggia in cifre l’inesprimibile. Jaspers comunque non è che parzialmente estetista, poiché l’arte non si identifica con la vita che è impegno e non volo, sebbene dall’arte la vita riceva la simbolica del suo linguaggio. L’estetismo raggiunge invece la sua maturazione in Sartre perché le sue allucinanti descrizioni esistenziali sono sul piano della fenomenologia e quindi della discontinua frammentarietà. L’agire per il nulla trova la sua decadente bellezza nella gratuità disimpegnata dell’atto. Nell’esistenzialismo teistico l’arte si presenta invece con la sua assolutezza, ma anche con l’anelito di una tensione infinita non soddisfatta. È la posizione del Lavelle per cui l’opera d’arte ci manifesta nel finito l’infinità. La perfezione del finito estetico è in questa sua ulteriorità. Dinanzi a un’arte cosi interpretata scaturisce in noi la gioia del fare, la cui natura però non si esaurisce nella sfera estetica ma si arricchisce di tensione morale. L’estetica antiestetistica della Philosophie de l’Esprit si ritrova pure nel Le Senne. La soggettività per lui riscatta l’oggetto trasformandolo da ostacolo in valore. Questa valorizzazione però non è un processo che si conchiuda nell’immagine bella perché l’infinità della rappresentazione spirituale la trascende continuamente. L’arte non ha la serietà della vita i cui impegni sono tuttavia fecondati dall’arte con il suo messaggio di bellezza. Per Marcel, che approfondisce più di ogni altro la tematica estetica, l’arte è essenzialmente rivelativa e partecipati va, cioè attraverso di essa penetriamo nel cuore dell’Essere il cui valore è intraducibile nelle formule intellettualistiche. La musica è tra le arti quella che assolve più compitamente questo compito. A questo punto ci si potrebbe abbandonare all’estetismo e Quatuor in fa dièse, Le Coeur des autres rivelano il difficile equilibrio di questa posizione. Si tratta però sempre di un’arte che allude a qualcosa che arte non è: l’arte è la metodologia con cui ci si avvicina: all’Essere, ma l’Essere trascende l’atteggiamento con cui vi ci avviciniamo. Di qui pure la nota ottimistica che salva l’esperienza estetica dall’abisso sartriano. La filosofia presocratica ha fornito allo Stefanini motivo di ripensamento singolare. I filosofi presocratici, afferma lo Stefanini in parte seguendo il Cassirer, l’Hoffmann, il Calogero ed il Reinhardt, manifestano quell’indistinzione dei valori propria della mentalità arcaica per cui l’atto del pensare non viene distinto dalla parola e la parola è fusa con la [139] cosa a cui si riferisce. Lo Stefanini, staccandosi in ciò dagli altri interpreti citati, indica nell’estetismo ellenico la radice dell’accennata indistinzione: la natura estetistica dell’intuire fa sì che l’immagine non possa essere trascesa e quindi, senza un termine di confronto, vien meno la capacità di distinguere l’intuizione da ciò che allude. Il numero dei Pitagorici, il Logos di Eraclito e sopratutto l’Essere di Parmenide sono dei miti della mentalità estetistica greca, di un estetismo ingenuo. La miticità presuppone sempre un abbandono acritico ad un’intuizione che urge in tutta la sua fantasiosa evidenza. Tale è la mentalità da cui scaturisce sopratutto quell’Essere parmenideo acriticamente coestensivo al pensiero, immobile secondo una segreta aspirazione di unità plasticamente espressa in una sfera ricca di un’arcana e quasi religiosa sfida alla apparenza. Il momento logico dell’identità non costituisce l’elemento genetico, ma il risultato successivo dell’intuizione di Parmenide. Il principio d’identità è il precipitato logico del mito parmenideo. La interpretazione che lo Stefanini dà della parola gorgiana conchiude questa sua significativa indagine sul preimaginismo greco, cioè sull’estetismo delle origini. Il carattere centrale della dottrina di Gorgia non sta nella contrapposizione tra natura e legge, quanto piuttosto tra le contraddizioni della natura ed il mondo della parola, ove tutto si dispiega armonico e la linea d’azione si rivela chiara e secondo opportunità. La parola gorgiana sembra addirittura essere una realtà autonoma, estranea a chi la pronuncia. Realtà invisibile, ma capace essa stessa di azione. Gorgia di certo non può essere oggetto di interpretazione personalistica, poiché la parola non è espressione dello spirito, ma suggestione di esso, è una impersonale dominatrice. Persona e parola sono dissociate, ed anzi la prima è in rapporto di subordinazione con la seconda. La parola di Gorgia è ancora un mito ed è il frutto più raffinato di quell’indistinzione estetica che caratterizza la filosofia greca arcaica. La realtà vera è la parola, il cosmo non è che contraddittoria apparenza. È facile ravvisare in questa indagine storiografica le dottrine dell’arte come parola assoluta e la valutazione della natura e dei limiti dell’estetismo, dottrine che caratterizzano appunto il più maturo pensiero estetico dello Stefanini. [140].
4. I contributi particolari. C’è anche uno Stefanini minore, cioè una serie. di contributi ove il personalismo estetico dello Stefanini non affronta i temi nella vastità e nelle proporzioni del saggio, ma, con non meno profondità, va confrontando il proprio pensiero estetico con vari periodi o autori attraverso comunicazioni a congressi, articoli di rivista, note, discorsi. A questo aspetto della sua produzione sono affidati gli appunti per un’interpretazione dell’umanesimo e del rinascimento, del barocco e della retorica nonché i contributi in sede di critica d’arte. Si tratta di applicazioni dei temi già noti e che si inseriscono in quell’esigenza che si rivela sempre più nell’ultimo Stefanini, cioè l’esigenza di estendere i risultati della propria ricerca estetico-filosofica a tutto l’orizzonte storico, una specie di vichiana certificazione del vero. I Congressi Internazionali di Studi Umanistici tenuti a Roma nel ’52 ed a Venezia nel ’54 hanno prestato l’occasione allo Stefanini di soffermare la sua attenzione di storiografo e di interprete sui temi umanistico-rinascimentali. Questo periodo, come quello patristico, costituisce un felice e singolare punto di osservazione, per cogliere la confluenza tra l’estetica del vedere e l’estetica dell’esprimere, concetti che, come si è visto, costituiscono la nervatura di tutta la ricerca stefaniniana in sede di storia dell’estetica. La comunicazione del ’52 riguarda la componente cristiana delle estetiche rinascimentali[15]. Tale componente viene scoperta in quella spinta all’espressione creatrice che caratterizza gli autori più rappresentativi del periodo. Il platonismo umanistico non si limita alla generazione nella bellezza, la dottrina del Convito, ma perviene alla generazione della bellezza. È questo un concetto cristiano che emerge dalle pagine del De Trinitate di Agostino (IX, 10; cfr. De diversis quaestionibus, p. 78). II Medio Evo ebbe, in nuce, un’estetica agostiniana dell’espressione che poi il romanticismo svilupperà in tutta la sua ampiezza. L’umanesimo costituisce la cerniera tra le due epoche. Anche nell’umanesimo come nel medio evo vi è una pesante eredità classica, ma la imitazione della natura, principio [141] fondamentale dell’estetica greca, diventa aemulatio naturae, la cui radice, come risulta chiaramente dalla Theologia Platonica del Ficino (XIII, 3, pag. 292), trova la sua giustificazione profonda nella aemulatio Dei. Leonardo da Vinci vive in tutta la sua portata la non facile confluenza dei temi. I punti salienti dell’accennata confluenza e compresenza delle due estetiche si ritrovano nelle dispute umanistiche sulla parola e nel concetto dell’uomo come imago Dei. Dietro al ciceronianismo di chi come il Barbaro celebra la parola estetisticamente per la sua estrinseca bellezza, c’è l’agostinismo di chi, come Pico, ama la parola in quanto espressione di amore, capace di ricostruire i valori sul piano dell’interiorità. Per quanto riguarda la concezione dell’homo imago occorre notare come non si esaurisca in un esemplarismo ave l’esemplato si estingua nell’Esemplante, ma chiede all’esemplato di scoprire in sé stesso la traccia divina ricostruendo in sé l’atto creativo che lo ha suscitato dal nulla. Vi potrebbe essere dell’autoctisi idealistica; certamente vi è l’eco del creazionismo cristiano. Pure in S. Tommaso l’attivo ed interno perfezionamento della creatura è la via regia per la scoperta dell’esemplarismo divino. La teoria rinascimentale della similitudine divina non mancò di dare notevoli frutti nella storia dell’estetica: unica è l’immagine dell’unico, la categoria della sua espressione è la singolarità. Gian Francesco Pico in polemica col Bembo poneva in luce gli intimi rapporti tra interiorità ed arte e persino il verosimile degli aristotelici non manca di qualche accenno alla singolarità. La comunicazione del ’55: Retorica, barocco e personalismo[16] è contemporanea agli studi su Gorgia e rivela infatti una convergenza di interessi e di risultati tra le due ricerche. Dinanzi a tante denigrazioni della retorica lo Stefanini intende compiere una doverosa distinzione: vi è retorica che costituisce una costante storica dell’umanità e che si pone come essenziale elemento di integrazione rispetto alla unilateralità di un esclusivismo logico-teoretico. La sua fonte è chiaramente umanistica e personalistica. Vi è poi la retorica del formalismo che si manifesta come estetistico culto della parola aversa dalla sua matrice spirituale, come il suo opposto va indicato come logicismo. Si tratta di fenomeni che accadono quando viene meno la feconda integrazione di tutte le componenti della [142] persona umana. L’equivalente artistico del logicismo è il razionalismo artistico: visione indifferente, geometria. La retorica artistica è invece la manifestazione della feconda ed umanistica integrità della persona. Il giudizio sul barocco parte da queste premesse. Il barocco non è una varietà del brutto (Croce), ma il frutto più maturo dell’umanesimo, non ratifica ma sfida alla natura integrandola con la creatività fantastica dello spirito. Naturalmente il barocco, fenomeno d’arte, non è il barocchismo, fenomeno di cultura decadentistica. Come il manierismo non è il precettismo di derivazione aristotelico-rinascimentale. Sempre che manierismo lo si intenda nel senso originale di creazione nell’ambito di una forma non presupposta, di una fantasia che non si decompone in fantasticheria. Questa prospettiva storiografica rimanda all’altra distinzione stefaniniana di ars maior e di ars minor di arte in cui il vigore creativo si dispiega nel senso della costruttività e dove l’immoralismo non trova un terreno favorevole per svilupparsi, e di quell’arte che sta alla prima come la licenza sta alla libertà e si colora di crepuscolari decadentismi. «L’estetico – afferma lo Stefanini nella citata comunicazione – non può sostituirsi al critico d’arte nel pronunciare giudizi sulle singole opere e sui singoli autori», ma queste parole sembrano scritte per respingere una tentazione. Il breve saggio si chiude con un giudizio sul baldacchino del Bernini, e alle parole citate è fatto seguire l’avvertimento che prescindere dall’estetica nel far la storia dell’arte significa attuare una forma di storicismo con tutte le conseguenze che ne derivano. L’ultimo scritto di estetica dello Stefanini, uscito pochi giorni prima della morte, sembra consacrare il fecondo connubio tra estetica, storia dell’estetica, filosofia e critica d’arte. Si tratta dell’articolo: La prospettiva tolemaica del primo numero di questa rivista: «il filosofo ha diritto di applicarsi a un particolare di tecnica figurativa, che sembra insignificante, perché attraverso ad esso si apre un pertugio sul nuovo evento della storia dell’umanità»[17]. Il particolare di tecnica figurativa è, in questo caso, la prospettiva rovesciata. Contrariamente all’opinione del Grabar che intende il rovesciamento della prospettiva nel periodo della bassa antichità e del primo medio evo come un ritorno a forme arcaiche sotto la suggestione di Plo-[143] tino, lo Stefanini, suffragando la sua tesi con dote disquisizioni storico-filosofiche, vede in questo prospettivismo un più profondo significato metafisico: la centralità della persona affermata dal cristianesimo fa sì che l’artista richiami a sé le immagini invertendo l’ordine empirico della visione naturale. È il passaggio dal vedere al fare, e costituisce un ingenuo ma significativo documento della priorità dell’artista sull’opera e quindi dell’arte come espressione sull’arte come visione. Il ritorno del Rinascimento dalla prospettiva scientifico-naturalistica non potrà essere ormai che un inquieto ritorno. 5. – Alcune conclusioni I rilievi di metodo e di dottrina sull’opera dello Stefanini come storico dell’estetica sono interni all’esposizione che di tale dottrina siamo andati facendo nelle pagine precedenti. Lo stesso può dirsi delle principali novità che caratterizzano tale storiografia. Ci limiteremo ad aggiungere qualche breve considerazione conclusiva volta soprattutto a precisare il rapporto tra il pensiero storiografico dello Stefanini e il contenuto filosofico e culturale in cui è andato maturandosi. Si vuole cosi porre in luce il notevole peso che le considerazioni estetiche ebbero in quanto di originale vi è nell’opera del compianto Maestro. Il contenuto delle nostre considerazioni si può innanzi tutto condensare in questi due punti: la distinzione di estetica della visione e di estetica dell’espressione ha una sua matrice nella distinzione gentiliana di filosofia greca come filosofia della natura e filosofia cristiana moderna come filosofia dello spirito; la differenziazione metafisica dello Stefanini dal Gentile trova poi un suo cospicuo contributo nel concetto di estetica non estetistica, concetto che permette di operare la riduzione storiografica di idealismo ad estetismo.Nelle lucide pagine della Logica Giovanni Gentile prende posizione nei confronti del logo astratto, cioè della logica aristotelica, per individuare in essa un momento legittimo del processo spirituale. In tale occasione ed elaborando tale tesi il Gentile perviene al criterio storiografico accennato. Il ritmo per cui lo spirito pone ingenuamente fuori di sé la realtà e poi la riconosce come creatura sua, si ripete nella storia della filosofia. In essa vi sono due grandi filosofie: quella greca definibile come concetto di realtà, in cui lo spirito si pone come realtà rendendosi [144] spettacolo a se stesso, e quella cristiana definibile come concetto di spirito, per cui la realtà si riconosce come attitudine spirituale creatrice, interiorità[18]. Non è difficile scorgere le analogie tra questa valutazione e quella dello Stefanini, sia per il carattere visivo ed esteriore della posizione classica ed il carattere creativo della concezione moderna, sia per l’affermazione che al Cristianesimo si deve il capovolgimento delle prospettive. Tanto che per il Gentile i termini di moderno e cristiano vengono a coincidere e per lo Stefanini lo studio della patristica è indispensabile alla comprensione dell’estetica moderna. Potremmo aggiungere che la critica dello Stefanini all’intellettualismo classico affonda le sue radici nel terreno stesso della critica all’estetica della visione. La differenziazione dello Stefanini dal Gentile ha essa pure una sua limpida espressione in sede estetica. Accettare 1’auctoctisi significa approdare nell’estetismo. L’oggetto dell’estetica per lo Stefanini, come si è avuto l’occasione di dire sopra, è più ampio della riflessione filosofica sull’arte poiché comprende anche i mezzi estetici di cui una filosofia si serve per esprimere il proprio contenuto. Si potrebbe pervenire, e lo Stefanini praticamente lo ha fatto, ad una specie di classificazione delle filosofie storiche a seconda del grado di esteticità a cui sono pervenute. L’idealismo occuperebbe il primo posto in questa classificazione in quanto per esso arte e filosofia sono una sola cosa, anzi è arte eretta a filosofia, che è quanto dire estetismo. La critica all’auctoctisi di Giovanni Gentile nasce nello Stefanini dalla impossibilità di accettare l’estetismo, mentre la nuova metafisica stefaniniana della persona è la traduzione in termini speculativi di quella estetica non estetistica che costituisce, dallo studio su Platone fino agli ultimi saggi, una delle note fondamentali dell’orizzonte estetico stefaniniano. Il personalismo è appunto la dottrina secondo cui la persona si esprime senza esaurire la propria consistenza nella sua espressione. Mentre altri discepoli di Giovanni Gentile cercarono dì uscire dalla intrascendibilità dell’Atto attraverso la elaborazione di nuove logiche e di istanze morali, lo Stefanini, che di Gentile sentì il fascino ma che non ne condivise mai la dottrina, segui anche in questo caso la via indiretta dell’estetica. Pervenne cosi a quel giudizio sull’attualismo come personalismo mancato, ove è riassunto tutto il rigoroso travaglio speculativo del [145] compianto Maestro inteso, con una scepsi di tipo platonico, a scoprire se stesso nel confronto col Gentile[19]. Confronto che era allora, come si è detto, un passaggio obbligato[20]. La matrice gentiliana ed il confronto polemico con essa ci ha dato modo di cogliere la nota dominante dell’attività storico-speculativa della estetica stefaniniana, e non solo dell’estetica, dato il significato ampio che tale termine assume nello Stefanini. Ma forse la storiografia in genere ed in particolare la storiografia estetica di Luigi Stefanini stava maturando un’ulteriore prospettiva che non avrebbe contraddetto la precedente, ma vi si sarebbe fecondamente inserita. Chi scrive, nel frequente contatto col Maestro, ha avuto occasione di discutere la tematica gnoseologica del personalismo, tematica che ancora attende una adeguata formulazione che espliciti quanto il personalismo metafisico ed estetico dello Stefanini è andato sottintendendo. Un tale problema presenta una sua prospettiva storiografica, cioè un itinerario che va dall’innatismo platonico ad una ragione personalizzata che già in Platone ha una sua presenza intenzionale. Una storia della filosofia e della cultura concepita, quindi, come storia del platonismo, che dall’ipotesi oggettivistica dell’idea giunga al recupero personalistico degli esiti di quella progressiva demetafisicizzazione che l’idea stessa ha subito attraverso i secoli. L’idea, da Platone al neo-platonismo, dalla filosofia morale romana alla patristica, dal medio evo al rinascimento e al manierismo fino al romanticismo idealistico e al neo-kantismo, si fa dottrina ideale, poi soggettività, indi genialità creativa per finire come forma trascendentale. Tutte queste tappe, difficilmente concatenantesi sul piano di una rigorosa storia di dottrine, presentano una loro suggestiva concatenazione se viste nel loro equivalente estetico dall’imitazione classica del presupposto fino alla creatività fantastica dell’estetica moderna[21]. L’intellettualismo concepito come innatismo sostanzialistico ha come necessario esito storico la fenomenologia romantica del genio o la [146] schematica trascendentalità kantiana e neo-kantiana. Soltanto la mediazione personalistica posta tra l’idea da un lato e l’esistenza psicologica ed il trascendentale dall’altro ci permette di operare stabilmente una ricostruzione metafisica. La lettura del Panofsky[22] faceva emergere nello Stefanini un tumulto fecondo e gioioso di impensate risonanze. I suoi ultimi contributi sul rinascimento, sul barocco ed il manierismo si inquadrano in questo fervore di studio e di pensiero. Le categorie storico-teoretiche di visione-espressione e di innatismo-genialità ed il relativo criterio storico-teoretico estetica non estetistica costituiscono la trama in cui per mille vie e contributi si dispiega l’opera storiografica dello Stefanini, che è sempre storiografia filosofica, culturale ed estetica insieme. Con un certo primato dell’estetico, sia per congenialità di temperamento, sia per meditata convinzione che la genesi più segreta degli atteggiamenti umani si trovi sul terreno estetico. Forse a volte non è agile scorgere una severa sistematicità nella molteplice e varia produzione dello Stefanini, che rivela prontezza di risposte e l’esigenza di comunicazione dinanzi ad ogni tema ed a ogni interesse. Eppure la sistematicità c’è, e singolarmente concepita: essa si riassume attorno a quella posizione che potrebbe indicarsi come storicità non storicistica, traduzione dell’altra formula esteticità non estetistica. La sistematicità dell’idealismo sta nell’universale concreto che è la storia, la sistematicità dell’opera di Luigi Stefanini è nel rapporto costante a quell’universale concreto che è la persona. La quale è storica e meta-storica come la vita umana è estetica e meta-estetica, infinitudine e limite, impegno e invocazione.
[1] L. Stefanini, Storia dell’estetica – I. Antichità, A.P. E., Padova, 1948.
[2] Sull’argomento si cfr. anche: L. Stefanini, La voluta “preistoria” dell’estetica del mondo classico, in “Atti dell’Istituto Veneto”, C. VI, P. II., Cl. Mar., 1947-48.
[3] L. Stefanini, Estetica, Studium, Roma, 1953, pagg. 8-38.
[4] L. Stefanini, op. cit., pag. 19.
[5] L. Stefanini, Arte e vita di G. V. Gravina, Milano, Vita e Pensiero, 1915. Questo primo lavoro (primo come ordine di stesura poiché per l’anno di edizione è preceduto da L’azione, saggio sulla filosofia di M. Blondel, Padova, Libreria Grfegoriana, 1913) non ebbe uno sviluppo nell’opera successiva dello Stefanini subito attratto, dopo la parentesi della guerra, dalle impegnative tematiche del platonismo. Però già nella pagine dedicate al Gravina sono presenti spunti costitutivi del pensiero ulteriore e soprattutto quell’impostare il problema estetico come rapporto tra arte e vita. L’esplicazione di questa prospettiva porterà al concetto di estetica non estetistica che lo Stefanini precisò nella sua più piena maturità.
[6] L. Stefanini, Il problema estetico in Platone, Torino, S.E.I., 1926 (ultima edizione 1940).
[7] L. Stefanini, Imaginismo come problema filosofico, Padova, Cedam, 1936.
[8] L. Stefanini, Gioberti, Milano, Bocca, 1947.
[9] L. Stefanini, op. cit., pag. 377.
[10] L. Stefanini, op. cit., pag. 387.
[11] V. Gioberti, Protologia, v. II, pagg. 159-60.
[12] V. Gioberti, Del Bello, cap. IV, pag. 49.
[13] L. Stefanini, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (in appendice: L’estetica dell’esistenzialismo), Padova, Cedam, 1952.
[14] L. Stefanini, Il preimaginismo dei Greci, Padova Cedam, 1953. Il testo costituisce un corso universitario in cui sono raccolti ed ordinati vari contributi che sull’argomento lo Stefanini era andato recando via via. Per maggiore precisione indichiamo i singoli contributi, in modo da ricostruire il processo con cui si è costituita la interpretazione estetistica della prima filosofia greca da parte dello Stefanini: La voluta “preistoria” dell’estetica del mondo classico in “Atti dell’Istituto Veneto”, C. VI, P. II, Cl. Mor., 1947-48; L’esigenza del limite nella mentalità dei Greci, Ibid. CVII; Inspirazione pitagorica nel Canone di Policleto, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1949, f. I; La poetica dell’ispirazione nei primi poeti della Grecia, in “Quaderni di Roma”, 1948, f. 1-2; La catarsi musicale di Pitagorici, in “Rivista di Storia della filosofia”, 1949, f. 1; La nascita del Logos in Eraclito (nota preliminare) in “Atti dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti” N. S. LXII, 1949-50, pag. 79; L’estetismo di Gorgia (nota preliminare) in “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti” cl. Sc. Mor. e Lett., CIX, 1950-51, pag. 137; La nascita del Logos in Eraclito in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1951, n. 1, pp. 1-23; Essere ed immagine in Parmenide, ibid., 1952, f. I.
[15] L. Stefanini, La componente cristiana delle estetiche rinascimentali, in “Atti del Congresso Int. di Studi Umanistici”, Roma, 1952; la comunicazione è riportata anche in: L. Stefanini, Educazione estetica ed artistica, Brescia, La Scuola, 1953.
[16] L. Stefanini, Retorica, barocco e personalismo, in “Atti Congresso Internazionale di Studi Umanistici” Roma, Bocca, 1955, pagg. 217-223.
[17] L. Stefanini, op. cit., pag. 101. Non è qui il luogo di indicare i contributi dello Stefanini alla storia dell’arte. Ricordiamo soltanto uno dei più recenti, o meglio la recente ristampa di Il motivo della “Tempesta” di Giorgione, Liviana, Editrice, Padova, 1955, in occasione della mostra veneziana della scorsa estate.
[18] G. Gentile, Sistema di Logica come teoria del conoscere, vol. I, Bari, 1922, cap. II, pag. 18-27.
[19] L. Stefanini, L’entidema personalistico di Giovanni Gentile, in “Giornale di Metafisica”, Torino, anno 1955, n. 1, pag. 85-102.
[20] Cfr. G. Bontadini, Dal problematicismo alla metafisica, Milano, 1952, cap. I, pagg. 7-27.
[21] E’ di questo periodo della riflessione estetica dello Stefanini l’accentuarsi dell’interesse per la storia dell’arte, giustificato dal fatto che gli artisti e le loro scuole, impegnati vitalmente nel dramma dell’espressione, sono i più attendibili testimoni del processo a volte doloroso attraverso il quale l’arte si libera dall’ipoteca intellettualistica che grava sulla sua potenza fantasticamente creatrice.
[22] Cfr. tra l’altro: E. Panofsky, Idea; contributo alla storia dell’estetica, trad. it.; Firenze, 1952. Qualche traccia dell’orientamento sopra accennato si ritrova nell’ultima e fondamentale opera estetica dello Stefanini: Trattato di estetica, Brescia, Morcelliana, 1955, pagg. 143 e segg.
Lascia un commento